La Chiesa al fianco dei contadini indiani preoccupati dalla riforma agricola

Rispetto
per chi lavora la terra

 Rispetto per chi lavora la terra  QUO-060
15 marzo 2021

Vivono la crisi sulla loro pelle, per questo sono convinti sostenitori della protesta e chiedono la revoca di quelle leggi ingiuste. Tra i laici cattolici in India, molti lavorano nel settore agricolo, sono coltivatori di risaia e altri cereali, come proprietari e lavoratori in aziende agricole. Con piena coscienza e convinzione sono in strada con i contadini che dallo scorso novembre sono in stato di agitazione, chiedendo il ritiro delle nuove leggi emesse dal governo per regolare il settore agricolo. Il governo federale, guidato dal Bharatiya Janata Party (Bjp) del primo ministro Narendra Modi, ha infatti approvato, nell’autunno del 2020, tre provvedimenti: un disegno di legge per il commercio dei prodotti agricoli; l’accordo per l’assicurazione dei prezzi; la legge sui servizi agricoli. Si tratta di un’autentica riforma globale del sistema, che abbandona le forme di marketing assistito dal governo e promuove l’agricoltura a contratto e gli investimenti multinazionali nel settore agricolo. I coltivatori temono che il nuovo sistema li ponga, senza la mediazione statale, alla mercé dei grandi gruppi internazionali. Per questo da novembre promuovono manifestazioni per l’abrogazione dei tre provvedimenti, promulgati dal governo federale senza alcuna consultazione né dibattito nazionale, e senza alcun passaggio parlamentare.

Il gesuita indiano Cedrik Prakash, studioso di questioni sociali e ambientali, spiega così a «L’Osservatore Romano» la posizione assunta dai cattolici indiani: «Il nuovo sistema è contrario ai principi basilari della dignità umana. Corporativizzare l’agricoltura, affidandola al potere delle multinazionali, significa che il lavoratore sarà soggetto a sfruttamento. Il costo del cibo aumenterà, si promuoverà la produzione su vasta scala e, naturalmente, un maggiore utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici. Sarà la rovina dei piccoli contadini: bisogna considerare che abbiamo già avuto molti suicidi di agricoltori in India». Inoltre, rimarca il religioso, «le leggi negano all’agricoltore la possibilità di andare in tribunale e di chiedere un risarcimento legale o un’azione penale contro qualsiasi funzionario del governo centrale o statale o contro le grandi aziende che monopolizzeranno la produzione». Ai piccoli coltivatori, aggiunge Prakash, «non è garantito un prezzo minimo per i loro prodotto, come avvenuto finora. È un generale peggioramento della loro condizione, che creerà indigenza e povertà». Non bisogna dimenticare infine, continua il gesuita, che «i tre progetti di legge sono stati approvati frettolosamente in Parlamento durante la pandemia, senza consultare le grandi organizzazioni di agricoltori e i sindacati. Siamo con loro nel chiedere che vengano abrogati immediatamente e incondizionatamente».

Le medesime perplessità le ha espresse la All India Catholic Union (Aicu), storica organizzazione del laicato cattolico indiano, fondata nel 1920. Il presidente nazionale Lancy D’Cunha puntualizza: «Siamo solidali con gli agricoltori di tutte le fedi. Sappiamo quanto lavoro e sudore dell’agricoltore servano per produrre cibo necessario per la sopravvivenza e per l’esportazione. Conosciamo l’amore che l’agricoltore ha per la terra, per gli animali che alleva, per l’ambiente in cui lavora. Questa passione — prosegue — non si misura solo in termini di denaro. Gli agricoltori lottano per salvare l’agricoltura e quindi salvare l’India dal disastro».

John Dayal, anziano giornalista cattolico che ha osservato i passaggi fondamentali della storia indiana degli ultimi cinquant’anni, aggiunge: «Sappiamo anche che in Europa e in molti altri Paesi i governi onorano e rispettano l’opera degli agricoltori, offrendo loro preziosi sussidi. In India gli agricoltori sono molto stressati. In caso di siccità, grandinate o inondazioni, il lavoro di un intero anno è perso. Sappiamo che negli ultimi dieci anni migliaia di agricoltori si sono suicidati, disperati per non poter ripagare i loro prestiti, a causa di stagioni di raccolto andate male». Di fronte alla loro condizione, nota Dayal, «il governo ha adottato un atteggiamento contrario al popolo, se pensiamo che il 70 per cento della società indiana, su 1,3 miliardi di persone, è costituita da famiglie di contadini».

Col passare dei mesi l’insofferenza dei lavoratori della terra di fronte all’inazione dei politici è aumentata fino a degenerare in scene da guerriglia urbana, con le forze armate chiamate ad arginare la rabbia dei manifestanti. Simbolo di quella che è stata definita “la rivoluzione agricola” è stata la presa del Forte Rosso, il 26 gennaio scorso, nel giorno della Festa della Repubblica. Il forte, uno tra i monumenti più celebri di Delhi, costruito nel secolo xvii , in epoca Mughal, è stato preso d’assalto e vandalizzato dai manifestanti. Tuttavia, ci tiene a dire Dayal, quella violenza «non rappresenta la campagna civile che in realtà molti agricoltori stanno conducendo pacificamente da mesi alle porte di Delhi e in altre città indiane».

Di fronte alla disponibilità offerta dal ministro dell’Agricoltura di rinviare per un periodo di diciotto mesi l’introduzione delle nuove leggi, per ridiscuterle con i sindacati, il movimento dei contadini ha preso tempo per cercare una soluzione condivisa, cancellando la prevista “marcia sul Parlamento” e avviando una forma di protesta non violenta come lo sciopero della fame.

Accanto ai milioni di contadini si sono schierati ufficialmente i quarantadue vescovi cattolici dello Stato del Kerala, in India meridionale. «Milioni di famiglie di contadini nel Paese sono preoccupate per il loro futuro a causa delle nuove leggi agricole», ha rimarcato il cardinale George Alencherry, a capo del Kerala Catholic Bishops Council. Il governo federale, ha auspicato, deve «affrontare immediatamente le difficoltà degli agricoltori e fare dell’India una nazione a misura di agricoltore». Il governo, ha concluso, «dovrebbe assicurare il benessere dei contadini che costituiscono la spina dorsale del Paese».

di Paolo Affatato