Uccisi altri 59 dimostranti

Ancora sangue in Myanmar

Scontri durante le proteste nella città di Mandalay (Reuters)
15 marzo 2021

Peggiorano a dismisura le conseguenze della repressione delle forze di sicurezza del Myanmar contro le manifestazioni di protesta scatenate dal golpe militare dello scorso primo febbraio.

Nella sola Yangon, gli agenti in assetto antisommossa hanno ucciso ieri almeno 59 dimostranti. Lo riferisce il sito di informazione Myanmar Now, citando fonti di tre ospedali dell’ex capitale e aggiungendo che gli stessi medici ritengono che il bilancio sia ancora più grave. Un dottore di un ospedale privato ha confermato l’uso di proiettili veri sulla folla.

Per l’Onu, quella di ieri nel Paese del sudest asiatico è stata una giornata «spaventosa e straziante». Documentata anche da diversi filmati, dove si vedono gli agenti sparare a più riprese contro i manifestanti in diverse città.

I generali hanno fatto sapere che nel quartiere Hlaing Tharyar di Yangon è stato aperto il fuoco su dei dimostranti che affrontavano la polizia con coltelli e bastoni, ha riportato la Bbc. I militari affermano anche di avere instaurato la legge marziale in due aree di Yangon, dopo che la folla avrebbe aggredito uomini d’affari cinesi.

Nel denunciare il «bagno di sangue» in corso nel Paese, l’emissario delle Nazioni Unite per il Myanmar, Christine Schraner Burgener, ha chiesto alla «comunità internazionale, e soprattutto agli attori della regione, di unirsi in solidarietà alla popolazione e alle sue aspirazioni democratiche». «La continua brutalità, anche contro il personale medico e la distruzione delle infrastrutture pubbliche, mina seriamente qualsiasi prospettiva di pace e stabilità», ha avvertito la rappresentante dell’Onu.

Dal giorno del golpe il Myanmar è nel caos. La presa del potere dal parte dei militari — dopo avere estromesso il Governo e arrestato, tra gli altri, il presidente, Win Myint, e il consigliere di Stato e ministro degli Esteri, il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi — ha innescato una rivolta di massa che ha visto centinaia di migliaia di persone protestare ogni giorno per il ritorno alla democrazia. La giunta militare ha più volte giustificato il colpo di Stato adducendo non meglio precisate «diffuse frodi elettorali» nelle elezioni legislative del novembre scorso, vinte nettamente dalla Lega nazionale per la democrazia, il partito di Suu Kyi.

Oggi, intanto sarebbe dovuto riprendere la terza udienza (in teleconferenza) del processo a Suu Kyi, contro la quale sono stati emessi quattro capi di imputazione, tra cui possesso di walkie-talkie non autorizzati. L’udienza è stata però rinviata alla settimana prossima a causa di problemi tecnici con la connessione Internet. Lo ha annunciato l’avvocato del premio Nobel.

Nel Myanmar, la connessione Internet via telefonia mobile è stata interrotta nelle ultime ore, mentre quella via cavo funziona a rilento.