Francesco, l'Iraq e i viaggi della fratellanza

L’inquietudine che muove
i passi di Pietro

la firma del Documento sulla fratellanza umana (Abu Dhabi, 4 febbraio 2019)
12 marzo 2021

Èstata «l’inquietudine della fratellanza», come ha confidato egli stesso sul volo di ritorno da Baghdad, a muovere i passi di Papa Francesco nello storico pellegrinaggio compiuto in Iraq alla vigilia dell’ottavo anniversario di elezione al pontificato.

Fortemente voluta, nonostante i dubbi sulla sicurezza e la pandemia in atto, la visita arricchisce di un ulteriore tassello l’interessante mosaico rappresentato da quelli che potrebbero essere riuniti nella categoria dei “viaggi della fratellanza” del Pontefice argentino. Li accomuna la presenza sul territorio di una religione maggioritaria che non è quella cristiana, la volontà di “rischiare” il dialogo nella direzione indicata dal concilio Vaticano ii , l’ambizione di aprire processi al fine di edificare società pacificate, nell’approfondimento del rispetto e della conoscenza reciproci, non solo a livello di istituzioni ma anche nella quotidianità della vita della gente comune. Perché come ha spiegato all’udienza generale in cui ha tracciato un bilancio della visita — che non a caso aveva come motto «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23, 8) — in Iraq, «nonostante il fragore della distruzione e delle armi, le palme, simbolo del Paese e della sua speranza, hanno continuato a crescere e portare frutto. Così è per la fraternità: come il frutto delle palme non fa rumore, ma è fruttuosa e fa crescere».

Del resto, aveva annunciato nel videomessaggio prima della partenza di volersi recare in terra irachena come «pellegrino di pace in cerca di fraternità, animato dal desiderio di pregare insieme e di camminare insieme, anche con i fratelli e le sorelle di altre tradizioni religiose, nel segno del padre Abramo».

Ecco allora l’urgenza di questi viaggi, che hanno come modello ideale quello di due anni fa ad Abu Dhabi. Dal 3 al 5 febbraio 2019 il vescovo di Roma si recò negli Emirati Arabi Uniti per firmare, il giorno 4, insieme con il Grande imam di Al-Azhar, il Documento sulla fratellanza umana per la pace universale e la convivenza comune, divenuto una pietra miliare del magistero bergogliano, che ha trovato ampia eco nell’enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020). Infatti sono «due testi che vanno nella stessa direzione», ha detto in proposito.

Dal Cairo ad Abu Dhabi


«La fratellanza umana esige da noi, rappresentanti delle religioni, il dovere di bandire ogni sfumatura di approvazione dalla parola guerra», ammonì durante l’incontro al Founder’s Memorial della capitale emiratina, al termine del quale fu sottoscritta la storica dichiarazione.

Un prologo alla tappa nella penisola araba è riscontrabile in quelle a Sarajevo, il 6 maggio 2015, a Baku nell’Azerbaigian a maggioranza sciita, il 2 ottobre 2016, e soprattutto nell’Egitto  sunnita, dal 28 al 29 aprile 2017.

«Un viaggio di unità, di fratellanza» lo definì sull’aereo che lo conduceva al Cairo, dove partecipando alla Conferenza internazionale per la pace, organizzata proprio dal Grande imam Azhar Ahmad Al-Tayyeb, inaugurò di fatto quella stretta collaborazione che poco meno di due anni dopo avrebbe portato al Documento di Abu Dhabi.

Il tema della fratellanza nel 2019 ha fatto da filo conduttore anche ai successivi viaggi e se non ci fosse stata la pandemia da covid-19 sarebbe stato senz’altro predominante anche nel 2020, come ha poi dimostrato la prima destinazione scelta appena è stato possibile salire su un volo internazionale: l’Iraq ap-punto.

A Rabat e poi in Thailandia e Giappone


Va senza dubbio annoverata in tale categoria la visita in Marocco dal 30 al 31 marzo 2019. Ancora in un Paese musulmano, dove i cristiani sono un piccolo gregge, per lanciare insieme con Sua Maestà il re Mohammed vi , che è anche la massima autorità religiosa del suo popolo, un appello congiunto su Gerusalemme / Al Qods Città santa e luogo di incontro.

Dopo essere stato a Rabat, il Papa ha compiuto nello stesso anno ben altre quattro visite lontano da Roma — per un totale di sette, il numero più alto, nell’arco temporale di dodici mesi —: due in Europa orientale (Bulgaria e Macedonia del Nord, 5-7 maggio, e Romania, 31 maggio - 2 giugno), una in Africa (Mozambico, Madagascar e Maurizio, 4-10 settembre) e, soprattutto, una in Asia, l’ultima prima della lunga interruzione imposta dal coronavirus. E proprio questa, durante la quale dal 19 al 26 novembre è stato in Thailandia e Giappone, rientra a pieno titolo tra i “viaggi della fratellanza”. Certo in questo caso le religioni predominanti erano di matrice orientale; eppure lo spirito che li ha animati è lo stesso, come testimoniano l’incontro con il Patriarca supremo dei buddisti  a Bangkok e la giornata dedicata alle città martiri della bomba nucleare, Hiroshima e Nagasaki.

In realtà il pellegrinaggio in Iraq ha costituito anche un unicum tra i trentatré finora realizzati, perché contenente tanti elementi difficilmente riscontrabili tutti insieme in un solo Paese: ha avuto infatti per meta una nazione che non aveva mai ricevuto un Papa, un territorio ancora segnato da situazioni di conflitto, un luogo abitato da antichissime comunità cristiane ma minoritarie.

La mancata visita di Giovanni Paolo II


Nell’approfondire questi tre aspetti, il primo riporta subito alla mente il mancato viaggio programmato da Giovanni Paolo ii : la destinazione avrebbe dovuto essere  Ur dei Caldei, dove secondo la tradizione è nato il patriarca Abramo. Ma la situazione politica di fatto impedì la partenza di Wojtyła, che non poté vedere realizzato l’auspicio espresso il 29 giugno 1999 in una Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza; ma non per questo volle rinunciare a una sosta spirituale nel sud della Mesopotamia, dove ebbe inizio il grande cammino del popolo di Dio guidato dal “Padre nella fede” verso la terra promessa. Così l’itinerario del suo pellegrinaggio giubilare cominciò con una celebrazione presieduta nell’Aula Paolo vi il 23 febbraio 2000, a ventiquattr’ore dalla partenza alla volta del Monte Sinai, in Egitto, e a un mese dal programmato viaggio in Terra Santa.

Ecco allora che Bergoglio è stato il primo Pontefice a recarsi in quella regione fertile irachena bagnata dalle acque del Tigri e dell’Eufrate che ha dato origine a grandi civiltà del passato.

E in questa mappa di luoghi mai solcati dai passi di un successore di Pietro, vanno registrate le visite inedite del Papa argentino in Myanmar (27-30 novembre 2017), il Paese del sud-est asiatico tornato in questi giorni alla ribalta delle cronache per un colpo di Stato militare; nella Macedonia del Nord (7 maggio 2019), la piccola nazione della penisola balcanica  che ha dato i natali a santa Teresa di Calcutta; e negli stessi già citati Emirati Arabi.

Pensando invece all’Iraq come nazione segnata da una situazione di conflitto, il precedente più simile è nella Repubblica Centrafricana (29-30 novembre 2015). Ultima tappa di un pellegrinaggio in cui Francesco fece sosta prima in Kenya e in Uganda, quello a Bangui è stato un soggiorno segnato da tante difficoltà — con la presenza di truppe dell’Onu schierate a garantire la sicurezza per il pericolo sempre incombente di attacchi armati — ma anche dalla gioia per l’apertura della porta santa della cattedrale della capitale, con cui ha avuto inizio il giubileo straordinario della Misericordia.

Infine, come viaggio nei luoghi delle origini del cristianesimo, caratterizzati dalla presenza di piccole ma antichissime comunità cattoliche, dalla ricerca dell’unità con le Chiese ortodosse dell’Oriente, il riferimento non può non essere la Terra Santa, dove Francesco si recò agli albori del pontificato, nel maggio 2014.

In pratica dopo quello d’esordio in Brasile per la Gmg di Rio (luglio 2013) che però era stato programmato da Benedetto xvi , Bergoglio scelse per il suo secondo viaggio Giordania, Palestina e Israele. Dal 24 al 26, visitò Amman, Betlemme e Gerusalemme e nella Città santa per le tre grandi religioni monoteistiche incontrò il Patriarca ecumenico Bartolomeo e il Patriarca ortodosso Teofilo iii . Quello stesso anno poi si chiuse con un viaggio in Turchia dal 28 al 30 novembre, culminato con le visite alla moschea Sultan Ahmet allo stesso Bartolomeo nella sua sede del Fanar a Istanbul, in occasione della festa del patrono sant’Andrea.

Una scelta dalla forte connotazione ecumenica che si ritrovò successivamente ad esempio, nell’isola greca di Lesbo (16 aprile 2016) ancora insieme a Bartolomeo  e con l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia  Hieronimos ii , per portare sollievo ai rifugiati accampati nel campo profughi di Moria.

Naturalmente sul fronte dell’ecumenismo non si possono non ricordare almeno la sosta a Cuba per la firma della dichiarazione comune con il Patriarca di Mosca, Cirillo, (12 febbraio 2016), quella a Ginevra per il 70° del Consiglio mondiale delle Chiese (21 giugno 2018), né la tappa a Lund in Svezia (31 ottobre - 1 novembre 2016) per la commemorazione Congiunta cattolico-luterana della Riforma.

di Gianluca Biccini