Intervista al cardinale birmano Charles Maung Bo arcivescovo di Yangon

«In Myanmar i giovani
non accettano che sia loro rubata la speranza»

epa09069163 Demonstrators hold placards during a protest against the military coup, in Yangon, ...
12 marzo 2021

Un cammino di verità e giustizia, foriero di pace, libertà e democrazia. È quanto chiede il Cardinale birmano Charles Maung Bo, 72enne arcivescovo di Yangon, mentre il Myanmar vive «un tempo di prova e sofferenza». In un’intervista rilasciata a «L’Osservatore Romano», il Porporato, che è anche presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc), nota la resilienza del popolo birmano, che non perde la speranza.

Cardinale Bo, può descrivere la situazione che oggi vivete in Myanmar?

Il Myanmar vive un altro capitolo della sua storia denso di oscurità, di spargimento di sangue e repressione. Dopo un decennio di riforme e aperture, nonostante le sfide e gli ostacoli, pensavamo di aver intravisto il sole che iniziava a sorgere sulla nostra bellissima terra. Stava emergendo la prospettiva, per quanto fragile o vacillante, di una nuova alba di democrazia, libertà, pace e giustizia. Oggi invece, dopo il colpo di stato del 1° febbraio, siamo tornati d'improvviso nell'incubo della repressione militare, della brutalità, della violenza e della dittatura.

Cosa pensa delle pacifiche proteste che attraversano la nazione?

Abbiamo assistito all'incredibile coraggio, impegno e creatività del nostro popolo: migliaia di persone sono scese in strada e hanno manifestato pacificamente in tutto il paese per molti giorni. I giovani e tutti i cittadini mostrano tenacia e resilienza: sono determinati a non permettere che democrazia, libertà e pace, conquistate a fatica, possano d'un tratto essere cancellate. I giovani non accettano che sia loro rubata la speranza. La loro forza d'animo è per tutti noi di grande ispirazione. Il senso di “unità nella diversità” e di reciproca solidarietà tra persone di diverse etnie e religioni, fianco a fianco per la stessa causa, è segno della maturità di un popolo. È un bene vederlo emergere con nitidezza, in un momento critico per il paese.

La risposta delle forze armate è una dura repressione: quali sono i suoi sentimenti?

Viviamo un momento di grande prova e sofferenza. Ogni giorno vi sono spari, percosse, spargimento di sangue, che causano dolore, amarezza, sdegno, lutto. Tante persone innocenti sono ferite o uccise per le strade e altre migliaia sono state arrestate o sono scomparse. Negli stati del Myanmar abitati dalle minoranze etniche dove, alcuni anni fa, sono stati firmati accordi di tregua, i militari hanno ripreso ad attaccare i civili, creando migliaia di sfollati interni e aggravando una crisi umanitaria preesistente. La situazione è grave e il nostro cuore è profondamente addolorato.

Come vive la comunità cristiana in Myanmar questo frangente?

In questi tempi tristi e bui, il Signore chiama la Chiesa a essere strumento di giustizia, pace e riconciliazione, a essere “le sue mani e i suoi piedi” nel confortare gli afflitti, nel contrastare l'odio con l'amore, nel salvare vite umane. È luce per noi il brano biblico del profeta Isaia (Is 65, 17-21) dove il Signore dice: «Io creo nuovi cieli e una nuova terra». Dio ci promette che non ci abbandonerà e che non lascerà che il male prevalga. Dalla Parola di Dio accogliamo quel messaggio di speranza che è il centro della nostra fede. Noi, Chiesa in Myanmar, custodiamo nel cuore questo messaggio. Pregheremo e saremo all'opera perché un nuovo Myanmar possa rinascere da questa tragedia.

Che idea di nazione ha e come si può cercare di incidere nell'attuale scenario politico?

Nella nostra visione c'è un Myanmar in cui ogni essere umano è realmente partecipe dei diritti e delle libertà fondamentali; un Myanmar dove si celebra la diversità etnica e religiosa e dove si gode di vera pace; un Myanmar in cui i militari abbassano le armi, lasciano il potere e fanno ciò che un esercito dovrebbe fare: proteggere, non certo attaccare, il popolo. In questa Quaresima non abbandoniamo la speranza che il Myanmar risorga. Conosciamo il sentiero da percorrere con fede, preghiera, amore, dialogo e coraggio: un sentiero di verità e giustizia, che conduce a libertà, pace e democrazia. Per giungervi abbiamo bisogno della preghiera di tutti i nostri fratelli e sorelle nel mondo.

di Paolo Affatato