Multilateralismo

I pescatori di Fukushima
si oppongono
al progetto del governo

  I pescatori di Fukushima  si oppongono  al progetto del governo  QUO-059
12 marzo 2021

I pescatori della prefettura di Fukushima sono fermamente contrari, ma la decisione del Governo giapponese sembra ormai presa: le acque radioattive impiegate per raffreddare l’ impianto nucleare danneggiato dallo tsunami del 2011 saranno sversate in mare. Il progetto prevede la dispersione di oltre un milione di tonnellate di acqua radioattiva negli ecosistemi oceanici della costa del Giappone, dopo un procedimento di purificazione e diluizione che però non convince tutti. Lo spazio per contenere le acque contaminate è sul punto di esaurirsi. Ogni settimana, infatti, si aggiungono tra le 2 e le 4 mila tonnellate di acqua nei serbatoi di stoccaggio, per cui una soluzione va trovata urgentemente.

Tuttavia, malgrado le rassicurazioni del governo sullo sversamento dell’acqua contaminata e l’assenza dei rischi per l’ambiente, dopo le meticolose operazioni di filtraggio, la popolazione locale che vive di pesca è convinta che una decisione del genere causerebbe un danno di reputazione senza rimedio all’immagine del pescato lungo la costa di Fukushima. La pesca una delle attività determinanti per il sostentamento alimentare ed economico del paese, ripartita gradualmente a poco più di un anno dalla catastrofe, e in aree limitate, sfiora attualmente appena il 20% del fatturato generato prima del 2011. E la questione non è solo locale: a essere direttamente interessati sono anche gli altri Paesi della regione, che minacciano di bandire le importazioni di frutti di mare dal Giappone. La contrarietà della Corea del Sud al progetto lascia presagire un’ulteriore difficoltà nei rapporti diplomatici, già non facili; ma anche gli Stati Uniti seguono la vicenda, che potrebbe riguardare la loro costa ovest.

Nel frattempo, la Corea del Sud ha annunciato che intende espandere il bando sull’importazione di prodotti ittici dal Giappone. La proibizione include ora tutto ciò che proviene da Fukushima e da altre sette Prefetture confinanti. Il rischio è di un danno economico enorme per queste popolazioni costiere, come paventa il sindacato che riunisce le cooperative ittiche giapponesi (JF Zengyoren), che ha inviato al ministro nipponico del Commercio una lettera in cui definisce “inaccettabile” lo scarico in mare dell’acqua usata per raffreddare i reattori della Daichi, la centrale nucleare colpita dallo tsunami l’ 11 marzo 2011. Il progetto, dice il sindacato, va bocciato «anche se i livelli di contaminazione fossero inferiori ai limiti legali». A sostegno dei pescatori si sono schierati anche i vescovi giapponesi e sud-coreani. Intanto, il 25 marzo prossimo partirà proprio da Fukushima la torcia olimpica dei Giochi di Tokyo, una scelta simbolica a dieci anni dalla catastrofe nucleare, che vuole dimostrare la rinascita di questa terra. Ma in verità i problemi ambientali e sanitari causati dall’incidente alla centrale nucleare non sono finiti. In occasione dell’anniversario di quel tragico tsunami che provocò il disastro all’impianto, con la fusione del nocciolo dei tre reattori, Greenpeace ha pubblicato due rapporti che attestano come sia ancora contaminato l’85% dell’area speciale di decontaminazione. L’associazione ambientalista sottolinea che «serve un nuovo piano di smantellamento» della centrale essendo l’attuale piano realizzabile in 30-40 anni, «un programma — sostiene Greenpeace — deludente e senza prospettive di successo».

In totale nelle tre strutture sono ancora ammassate circa 880 tonnellate di detriti pericolosi e, a oggi, il governo giapponese e la Tokyo Electric Power (Tepco) prevedono che le attività di smantellamento verranno completate tra il 2041 e il 2051. Ma a fare ancor più paura è appunto il progetto avanzato dal Governo nipponico di sversare nell’oceano Pacifico le acque impiegate per il raffreddamento dell’impianto. Il piano di Tokyo prevede un rilascio graduale delle acque dopo averle depurate di tutti i radionuclidi in esse contenuti. Tutti tranne uno, il trizio, costoso e difficile da eliminare. Sebbene oceanografi, scienziati, tecnici abbiano assicurato che il lento versamento, che dovrebbe durare tra i 7 e i 33 anni, non influirà sulla radioattività costiera, le associazioni ambientaliste e i pescatori, già colpiti duramente dall’incidente del 2011, si oppongono al programma di deflusso. La pubblicità negativa che deriverebbe dal rilascio di acqua anche leggermente radioattiva preoccupa non poco i 1.500 pescatori della zona che oggi, per sopravvivere, contano soprattutto sui ristoranti e le rivendite locali. Anche secondo Greenpeace, questa proposta del governo è la più dannosa per l’ambiente sul lungo periodo e Chang Mari, un militante dell’associazione, ha spiegato alla radio francese Rfi che «quando quest’acqua contaminata e il trizio in essa contenuto saranno nell’oceano, seguiranno le correnti marine, verranno disperse ovunque e ci vorranno diciassette anni prima che la radioattività sia sufficientemente diluita da essere scesa al di sotto dei livelli di guardia». «È un problema dunque che riguarda il mondo intero» ha avvertito l’ambientalista.

di Anna Lisa Antonucci