#QuarantaGiorni
Tracce di riflessione lungo il cammino quaresimale

Il perché del digiuno

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11 marzo 2021

Quando don Giacomo, un sacerdote che mi fu amico per molti anni, ed ora è in Cielo, voleva far capire che una questione era essenziale per la vita della Chiesa, usava spesso quest’espressione: «Qui è in gioco l’amore per il Signore».

Tutto è secondario rispetto a questo: il ruolo che si occupa, la forma di vita, l’obbedienza più o meno stretta alle regole. Come il sale della terra, che perde il suo sapore e si getta via, se viene meno alla sua funzione.

Anche la Quaresima e la sua osservanza, anche il digiuno. «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».

Allora perché digiunare, se il Signore ha detto anche: «Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo?».

Perché è in gioco l’amore per il Signore, la forma e il modo con cui nei giorni ordinari ce ne dimentichiamo, distratti dalle spine delle nostre occupazioni che soffocano il seme gettato tra i rovi.

Perché siamo fatti di spine e di terra, e abbiamo bisogno di strumenti semplici per ricordarci che il Cielo è sceso quaggiù per sempre.

Perché la Sua presenza è evidente per grazia in alcuni momenti, in altri si lascia velare dall’ombra di un sonno apparente. Come a quei tempi: «Signore, non t’importa che moriamo?».

La barca, la tempesta, il timore, mentre Gesù dorme. Dunque sembra che non ci sia. E del resto, come ha promesso che sarà sempre con noi, a volte ricorda che lo sposo «verrà loro tolto. Allora, in quei giorni, digiuneranno».

Il digiuno non è esercizio di ascesi, è sentire il vuoto e la mancanza di pane. Del Pane. È anche ricordarsi dei poveri, certo. Il mio parroco indiceva un digiuno in chiesa, nei venerdì di quaresima, e l’invito a portare una busta col corrispettivo del pranzo in denaro. Era un gesto plastico, espressivo, vero. E andava davvero ai poveri. Eppure «i poveri li avrete sempre con voi. Me invece, non mi avrete sempre».

Lo dice Lui ai discepoli contabili, che si chiedevano quanto spreco di soldi fosse il gesto di una donna che spacca un vaso di alabastro, ne versa per sempre il profumo e lo usa tutto, in eccesso, per profumare il Signore. Forse era invidia, perché di tutto quell’amore al Signore non erano capaci. Non lo sarebbero stati poche ore dopo, in quella notte di arresti e tradimenti, di cantare di galli e di spine. Altre spine. Non quelle che soffocano il seme, ma quelle del capo di Gesù, ancora intriso di quel profumo.

Allora, perché digiunare? Perché i veri poveri siamo noi, che contiamo sulle nostre forze, che avremo sempre con noi questa povertà. E i poveri, a volte, digiunano davvero.

di Giovanni Ricciardi