Cultura, forza e coerenza politica di Maria Paola Colombo Svevo

Verso il cambiamento
con femminilità

Un ritratto di Maria Paola Colombo Svevo
10 marzo 2021

Il saggio di Maria Chiara Mattesini (Maria Paola Colombo Svevo. Una cattolica democratica libera e forte, Roma-Bari, Laterza, 2021, pagine 192, euro 18), giovane studiosa col “vizio” di non accontentarsi delle biblioteche e di andare sul campo a ricercare e intervistare, ha innanzitutto il pregio di mettere a fuoco una protagonista della democrazia italiana, che ha contribuito a cambiare i costumi, la mentalità, le leggi senza squilli di trombe, stendardi, applausi: Maria Paola Colombo Svevo. La politica, quella con la “P” maiuscola, per lei era al contempo una insopprimibile passione — chiara già dalla laurea in Scienze politiche alla Cattolica di Milano — e una vocazione. Proporla alle nuove generazioni è un atto di giustizia nei confronti delle tante donne di cui la storia non conserva memoria ed è un esempio per le nuove generazioni, perché, come scrive Giuseppe Guzzetti nella prefazione, definendola «mite e forte»: «Ai giovani che, non senza qualche buon motivo, reputano la politica una cosa “sporca” da cui stare alla larga; ai milioni di italiani che non vanno più a votare perché i partiti non consentono loro di essere protagonisti della democrazia partecipata (…) abbiamo bisogno di dare idee forti serie e meditate, ma soprattutto di fare loro conoscere testimoni che hanno speso la loro vita per un Paese più coeso, più giusto, per una democrazia forte nelle sue istituzioni parlamentari e nel pluralismo istituzionale».

La Svevo è stata per anni a capo del Movimento femminile della Democrazia cristiana e in quanto tale traghettatrice della cittadinanza delle donne da puro esercizio del diritto di voto, ancora in parte condizionato da marito, parroco o persona influente, verso una democrazia sostanziale. Ne voleva fare un laboratorio politico delle donne perché fossero competitive e in quanto tali accreditate nel partito e nella vita della nazione. Vedeva chiaramente l’avanzare del cambiamento e voleva contribuire a delineare il nuovo volto delle donne senza rinnegarne la femminilità e senza scagliarsi contro quella tradizione che le aveva volute casalinghe per natura. Bisognava che apprendessero l’arte politica dal livello comunale, laddove era possibile conoscere i reali bisogni sociali dei concittadini, stabilire legami di prossimità e tentare di risolvere i nodi politici. Diceva di sé: «Non sarei stata una buona politica se non fossi stata consigliera comunale». Ciò era significativamente diverso dal reclamare posti di vertice come facevano — lo notava con dignità — le donne dei partiti di sinistra.

Chi l’ha conosciuta ha avuto modo di apprezzare la classe di altri tempi, unita a una determinazione e ad un raro acume politico. Spettava a lei “combattere” con la dirigenza del partito dominato da uomini del calibro di Andreotti, Gava, Cirino Pomicino, Ciriaco De Mita, Forlani, per far largo alla presenza delle donne nelle liste e al contempo “combattere” contro l’indifferenza politica delle casalinghe e alla disabitudine a passare dalla soluzione dei problemi privati a quelli pubblici, dai documenti scritti alla realizzazione nei fatti. Quando andava a negoziare con i “potenti” sapeva di avere di fronte persone abituate alle segretarie e alle signorine delle sezioni che preparavano il caffè, ma sapeva convincere, perché ormai il voto delle donne era determinante e perché lei lo avrebbe in gran parte orientato.

Mi scuso se, raccogliendo lo stimolo di questo libro, “pesco” nei ricordi personali ma ho un debito di riconoscenza per i rapporti di amicizia e di stima che ci hanno legate e che la portò a chiedermi — non ritenni ci fossero le condizioni — la candidatura per il Parlamento europeo, dove lei sarebbe arrivata nella stessa elezione. Maria Paola aveva occhio per selezionare nel partito ed extra moenia, senza appoggiarsi pedissequamente ai “suggerimenti” più o meno pressanti dei colleghi. Sceglieva seguendo l’intuito e studiando una strategia a lungo termine, secondo i ritmi elettorali. Viveva pienamente il presente e coglieva tutte le occasioni possibili per poter vincere la guerra anche quando doveva incassare qualche inevitabile sconfitta nelle battaglie.

Una sua dote era l’amore per la cultura. Si rendeva perfettamente conto che i partiti di sinistra avevano guadagnato un primato sulla questione femminile che lasciava indietro le donne della Democrazia cristiana schiacciate nello stereotipo di remissive, pie e sciatte; il mondo cristiano arrivava in ritardo ma in compenso poteva guadagnare in equilibrio, coniugando uguaglianza e differenza, diritti e obbligazioni, determinazione e flessibilità, identità e dialogo. Bisognava contrastare i pregiudizi — in parte fondati — investendo in conoscenza, coscienza, autonomia. Per questo volle dare risalto alla mia visione della reciprocità uomo-donna, oggi scontata, ma che ai tempi suonava stonata ai moralisti (ai quali il vocabolo appariva inquinato da uno scambio mercantile e poco cristiano) e ai sociologi (i quali consideravano il tema poco sociologico, benché oggi cavalcato abbondantemente). Nei luoghi chiave della formazione lungo lo stivale cercava di dare eco a una cultura non allineata al femminismo rivendicativo, talvolta aggressivo, di matrice marxista, radicale, freudiana. Riteneva che soltanto aprendo le menti si potesse vincere e per questo, oltre le questioni politiche, affrontava tematiche solitamente appannaggio della cultura accademica, come nel caso di Simone Weil e Antigone.

Come nota Maria Pia Garavaglia nella nota introduttiva, era donna politica, ma non partitica. Dialogava infatti con colleghi di ideologie opposte. Non svendeva gli ideali alti, pur dovendosi confrontare con i mezzi bassi per affermarli. Ne dava personale testimonianza impegnandosi nelle istituzioni, da Monza fino al Parlamento nazionale e poi Europeo, nel sociale e in famiglia, con i quattro figli e col marito (singolare il rapporto con Giampiero, politico esperto e marito mite, che non provava imbarazzo nel dire «in politica lei è più brava di me»).

Il pregevole lavoro della Mattesini impedisce che venga trascurato il contributo della Svevo a temi quali parità di retribuzione per lavori di pari valore, ruolo delle cooperative nell’occupazione femminile, tratta di esseri umani, sostegno alle famiglie multiproblematiche. Fu lei a istituire a Monza gli asili nido (prima della legge nazionale) proprio per favorire il lavoro e la partecipazione politica delle donne. Questo libro ne esalta la coerenza, dimostrando che un buon politico è coerente con i due pilastri della fede e della vita familiare.

di Giulia Paola Di Nicola