Nel Sud Kivu il centro antiviolenza Kitumaini supportato da un oratorio imolese

Per ricominciare

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10 marzo 2021

La fratellanza tra i fedeli di Bukavu e Imola offre nuova speranza a tante donne perdute della Repubblica Democratica del Congo. Ripudiate dai mariti. Allontanate da casa. Emarginate dalla società. Costrette a scappare dal proprio villaggio per sopravvivere. Tanto lontano da raggiungere un luogo in cui nessuno conosce il passato dei loro corpi violati. Gli autori di queste atrocità sono i gruppi armati che vivono nelle foreste della regione del Kivu. Gli stessi che nei giorni scorsi hanno ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo. Il centro Kitumaini, guidato dalla comunità «Les amis de don Beppe» con il sostegno dell’oratorio San Giacomo e della ong «Pace adesso», vede le donne vittime di violenza diventare attiviste. Il loro impegno è finalizzato a ridare autonomia a ragazze sopravvissute a quello stesso dramma, assicurando loro l’accesso alle cure mediche, dando un supporto esistenziale e offrendo un lavoro.

Queste iniziative sono figlie di un incontro avvenuto in parrocchia nel 1996. In quell’anno, un ingegnere africano rientrato in Repubblica Democratica del Congo dall’Italia, promosse i contatti fra l’oratorio romagnolo e una parrocchia congolese che intraprese lo stesso cammino di fede fatto di canto, recite, letture, progetti. Nello stesso periodo, spiega Pierre Lokeka, referente del centro Kitumaini, la violenza sessuale iniziò a essere utilizzata sistematicamente contro i civili. La causa è da ricercare nel genocidio in Rwanda del 1994 in seguito a cui gli hutu si rifugiarono nella Repubblica Democratica del Congo per sfuggire alla vendetta dei tutsi. Le tensioni etniche accesero la miccia della guerra che destabilizzò l’intera Africa centrale. In quel contesto i rapporti tra Imola e Bukavu si intensificarono. Iniziò la riflessione comune sulla Parola di Dio, i viaggi, gli stage di formazione, l’assistenza alle donne sole e ai bambini malnutriti. Infine, nel 2004, fu fondato il centro Kitumaini. Oggi gli autori delle violenze sono i ribelli, i gruppi armati congolesi, ugandesi o ruandesi, le milizie — colluse con le multinazionali — che gestiscono l’estrazione illegale di cobalto e oro. Questi uomini abitano nella foresta, centro operativo delle loro scorribande. In genere, quando assaltano un villaggio, rubano e abusano delle donne, senza remore per i loro familiari che diventano vittime di violenza assistita. Questo è uno strumento di potere che serve a fiaccare la resistenza civile contro lo sfruttamento delle terre. Il primo effetto di questa ferita dell’anima è che i mariti allontanano le mogli da casa. «Parliamo a lungo per convincerli a riaccoglierle — dice Lokeka — spiegando che loro non hanno colpa, che sono vittime, che se il marito avesse reagito sarebbe stato ucciso». La mediazione ha funzionato dieci volte in quindici anni perché le comunità pensano siano malate e perché c’è chi rimane incinta. Il loro destino è nelle mani del centro Kitumaini.

L’ufficio di Bukavu coordina numerosi rifugi e campi agricoli nei villaggi situati in un raggio di settanta chilometri intorno al capoluogo del Sud Kivu. In ogni comunità le donne trovano un tetto sotto cui ripararsi, riunirsi, aiutarsi e condividere le proprie storie. Tra loro si crea una forte solidarietà. Un medico le visita e nei casi più gravi le invia all’ospedale Pansi che è specializzato in chirurgia e ginecologia. Durante il ricovero le volontarie si occupano dei loro figli. Una volta terminate le cure mediche, si passa al reinserimento sociale attraverso il lavoro. Di norma imparano a coltivare la terra. Tuttavia, alcune donne subiscono interventi chirurgici e danni tali da non poter compiere un lavoro così impegnativo. A queste persone la banca di microcredito Imf Kitumaini assegna un prestito per consentire di aprire un’attività commerciale nel villaggio. Chi, invece, è costretta ad affrontare una gravidanza può seguire il programma semestrale contro la malnutrizione, che offre una polenta nutriente a circa quaranta bambini, o accedere al sostegno alla crescita e a quello scolastico.

Pierre Lokeka mi racconta tante storie: una minorenne diventata sarta che è tornata a vivere nel suo villaggio insieme alla nonna, una donna ripudiata che ha trovato un nuovo amore, una madre che ha adottato sei orfani. Tutto ciò avviene anche grazie all’oratorio San Giacomo animato da don Giuseppe Tagariello. Ogni settimana giovani e adulti, italiani e congolesi, meditano sul medesimo opuscolo, pur stando a oltre cinquemila chilometri di distanza. È una lontananza solo spaziale, mentre i loro cuori cantano all’unisono. «Le attività di aggregazione e culturali costituiscono un ritrovo per tanti giovani credenti e non», racconta Leonardo Vignini, tra i referenti del gruppo missioni Imola-Bukavu con cui è stato due volte nella Repubblica Democratica del Congo. «Un’esperienza molto bella, toccante, dura». La comunità romagnola sostiene il centro Kitumaini con tante iniziative: l’autofinanziamento attraverso i concerti, la sensibilizzazione nelle scuole, l’adozione a distanza di un centinaio di studenti congolesi, la trasmissione di conoscenze, l’invio di mezzi agricoli e sementi, la costruzione di una scuola di campagna. Come ha scritto Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti:«È una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà. Al contrario, non c’è vita dove si ha la pretesa di appartenere solo a sé stessi e di vivere come isole: in questi atteggiamenti prevale la morte».

di Giordano Contu