Muore in carcere un altro membro del partito di Suu Kyi

Non si fermano
le violenze in Myanmar

Scontri tra polizia e manifestanti nel centro di Yangon (Afp)
10 marzo 2021

Non conosce tregua la violenza nel Myanmar. Nuove manifestazioni di protesta hanno avuto luogo ieri, in diverse città, contro il colpo di stato militare. Sono stati segnalati scontri e arresti. Questo mentre un secondo esponente del partito della leader Aung San Suu Kyi, la Lega Nazionale per la Democrazia, è morto in detenzione dopo essere stato arrestato. La notizia, diffusa ieri dai media locali, è destinata a far salire ulteriormente la tensione.

Le forze di sicurezza sono schierate ovunque a Rangoon, all’indomani dell’assedio di un intero quartiere della città e l’arresto di decine di manifestanti. Le vie del centro della capitale sono state bloccate dai militari e i commercianti si sono affrettati a vendere le loro merci prima di possibili nuove violenze, secondo quanto riferito da giornalisti dell’Afp.

Proseguono intanto, a quanto si apprende, incursioni e perquisizioni casa per casa, e in città risuonano spari. «La polizia ha ispezionato una ad una tutte le case per strada. Sono venuti nel nostro appartamento, ma non avevamo nascosto nessuno, e se ne sono andati» ha raccontato un residente. «Ci hanno detto di non guardarli, altrimenti avrebbero sparato», ha riferito un altro, aggiungendo che sono state prese di mira le case che avevano issato la bandiera rossa della Lega Nazionale per la Democrazia.

Va detto che, oltre alle violenze contro i manifestanti, la giunta militare ha dato il via a una stretta sull'informazione che ha già visto la revoca delle autorizzazioni a cinque testate e il fermo di decine di giornalisti, tra cui un fotoreporter dell’agenzia Ap. Ne riferisce anche «The Guardian», riportando le reazioni delle testate, decise a non venir meno alla propria missione di informazione. Il quotidiano «Mizzima», tra le testate chiuse, annuncia su Facebook, che sfiderà il divieto, aggiungendo che «continuerà a combattere il colpo di stato militare pubblicando e trasmettendo attraverso le piattaforme multimediali», e il direttore dell’emittente Dvb ha sottolineato che, attraverso i social, «l'intero Paese si è fatto giornalista e non c'è modo per le autorità militari di interrompere il flusso di informazioni».