Quattro pagine - Approfondimenti di cultura, società, scienze e arte
Cosa esprime e rivela il museo contemporaneo

Audacia e originalità

Il Guggenheim Museum di Bilbao
09 marzo 2021

Nei musei contemporanei l’architettura dell’edificio tende ad assumere un ruolo sempre più prevalente; in molti casi l’originalità e l’innovazione costruttiva rappresentano un richiamo così forte da far scivolare quasi in secondo piano il valore artistico delle opere contenute. Nei musei storici, di grande tradizione, erano invece i capolavori esposti a primeggiare, a caratterizzare il museo fino a sostituirsi a esso, a identificarlo o, perlomeno, a costituirne il riferimento principale: il Giudizio Universale e la volta della Cappella Sistina (Musei Vaticani); l’Ara di Pergamo e la Porta di Mileto (Museo Pergamon a Berlino); il Fregio del Partenone (British Museum a Londra); la Gioconda (Louvre a Parigi). In molte realizzazioni contemporanee, al contrario, le opere contenute, anche se di grande interesse, sono offuscate dal prestigio, guadagnato a livello internazionale dall’architetto progettista: il Museo Guggenheim di Frank Gehry (1997) a Bilbao, il Getty Center di Richard Meier (1997) a Los Angeles, il Museo Maxxi di Zaha Hadid (2010) a Roma, il Museo Mart di Mario Botta (2002) a Rovereto, ecc.

Questa tendenza ha inciso sulla trasformazione progressiva, ma sostanziale, dell’impianto museale, generando, a scala diversa, due distinte strategie, tra loro strettamente connesse: una urbana, insediativa nei confronti della città e, più in generale, dell’ambiente; l’altra edilizia, legata all’organizzazione e alla distribuzione delle parti funzionali e, quindi, alla tipologia stessa dell’opera. Il differente ruolo urbano del museo ha comportato, infatti, la revisione delle quantità interne delle singole parti, concedendo una maggiore generosità di superficie a quelle destinate all’accoglienza, alla permanenza e al ristoro. I musei ottocenteschi offrivano una superficie espositiva totalizzante; viceversa, quella destinata agli spazi complementari era alquanto contenuta. La funzionalità interna era affidata, quasi esclusivamente, alla predisposizione di ambienti, almeno quelli per il pubblico, che avessero pareti vaste, dove appendere quadri, e pavimenti liberi, dotati di luce diretta, su cui disporre sculture o teche per gli oggetti più minuti.

Il museo contemporaneo si propone soprattutto come servizio urbano, punto di aggregazione, capace di attrarre visitatori attraverso la fornitura di più prodotti, tra loro anche molto differenziati. Offre al suo interno, insieme alle opere d’arte, punti vendita di libri specialistici e di oggetti particolari, oltre ad ambienti accoglienti e ben forniti per la ristorazione e per il soggiorno. Abbandonato ormai, con la fine del post-modern, ogni richiamo alle memorie stilistiche, l’immagine rappresentativa dell’intervento è agganciata ad alcuni temi che ricorrono anche nella maggior parte degli edifici che accolgono i servizi urbani: l’audacia costruttiva, la rappresentatività del luogo, l’originalità della composizione formale.

In alcuni esempi, soprattutto in quelli che dialogano con la dimensione territoriale e assumono il paesaggio come termine principale di riferimento, la combinazione di questi tre temi è evidente.

Il nuovo Museo nazionale del Qatar a Doha, opera imponente, costruttivamente sperimentale, dell’architetto francese Jean Nouvel, inaugurato nel 2019 dopo 18 anni di cantiere, si ispira alla forma di una rosa del deserto. Portata alla scala gigante, esprime, nonostante le esagerazioni dimensionali, un’eleganza naturale che ben si armonizza con le forme e i colori del terreno circostante. Essa, non alterata nella sua composizione, proietta nello spazio enormi petali color sabbia, trasformati in volumi, capaci di ospitare grandi ambienti espositivi. Nel Museo di Doha permane la sedimentazione, non della storia, bensì della geometria dei cristalli che, solo in determinate condizioni ambientali, vanno a raccogliersi in una combinazione unica e irripetibile.

Nell’epoca moderna e contemporanea, quando il museo ha raggiunto l’autonomia tipologica di edificio istituzionale, il ventaglio degli attributi connotativi si è molto ampliato, raccogliendo sempre nuove fonti di ispirazione. Gli elementi naturali e le composizioni organiche sono diventate ricorrenti: fra tante, le forme lievitate del Guggenheim a Bilbao, ormai simbolo della città, espressione e linguaggio di una ricerca di suggestioni che affida al fuori scala uno dei modi per catturare la curiosità del visitatore.

All’interno di un’ambientazione paesaggistica si inserisce anche l’Art Museum a Jining in Cina, progettato da Ryue Nishizawa e inaugurato nel 2019. L’impianto costituisce un insieme unitario, che si raccoglie al di sotto di una copertura piana, dove le parti funzionali si susseguono, intervallate da spazi esterni e interni, sia coperti che non. L’itinerario della visita, interamente complanare, rafforza l’idea di una passeggiata tra opere d’arte proiettate su un fondale naturale. La scelta stilistica è ben riconoscibile; corrisponde infatti a un modello formale già ampiamente collaudato dallo studio giapponese di progettazione; la soluzione qui adottata evoca tuttavia alcune impostazioni, diverse nella forma, seppure simili nell’esito della fruizione. L’organismo, modellato sul territorio, accompagna il visitatore in un susseguirsi di scoperte sia all’interno che all’esterno. Istintivo è il richiamo allo spirito della raffinata sistemazione del Louisiana Museum of Modern Art di Wilhelm Wohlert e Jørgen Bo (1958) a Humlebæk, vicino a Copenaghen, ordinato dallo svolgersi di una successione di ambienti che traguardano il mare da una morbida collina verde. La dimensione territoriale è conservata anche nel disegno della passerella che accompagna nella visita dello spazio all’aperto, in un rilassante giardino di statue. Le pieghe sinuose invitano a scoprire il disegno d’insieme dall’alto, come tracce di sagome naturali impresse sul terreno.

A Montignac, nel Sud-Ovest della Francia, lo studio norvegese Snøhetta, coadiuvato da esperti scenografi, realizza nel 2016 il Centro internazionale di Arte Rupestre. L’edificio, destinato a riprodurre la vicina grotta originale di Lascaux, nota per l’importanza e la ricchezza di quanto rinvenuto al suo interno come la Cappella Sistina della preistoria, chiusa per proteggere i dipinti dalla luce, propone un’immagine che marca la frattura del terreno e la conseguente immersione nella caverna. La scelta non vuole essere mimetica, ma allusiva, servendosi di profondi tagli irregolari che rompono blocchi di calcestruzzo bianco, che descrivono le fratture su una parete rocciosa. Al di sotto di questa pesante copertura frammentata si apre una compressa vetrata che accompagna il percorso museale.

Anche Snøhetta, come Nishizawa, imprime il suo marchio di fabbrica, già esposto in un’ambientazione del tutto diversa, attraverso i blocchi di marmo bianco dell’Opera House (2007) di Oslo. Anche qui la densità dei volumi si confronta con la trasparenza delle ampie aperture vetrate. La suggestione è però del tutto differente: il carattere degli iceberg del porto norvegese è sostituito dal senso delle fenditure nella roccia che anticipano l’entrata nella caverna.

Tranne qualche caso, fortunatamente raro, in cui si sono smarriti eleganza ed equilibrio, i musei contemporanei, pur tra ispirazioni e modelli profondamente diversi, propongono per lo più un’architettura di qualità e questo è il miglior richiamo per accelerare il ritorno dei turisti a viaggiare e conoscere, al termine di questo periodo che ha generato non poca insicurezza e preoccupazione. È bene che la loro forza evocativa rimanga robusta, anche se questa dovesse imporsi e assorbire sempre tanta curiosità da sovrastare l’interesse per le opere contenute.

di Mario Panizza