Una terra
che ritorna a vivere

 Una terra che ritorna a vivere  QUO-055
08 marzo 2021

In volo di ritorno da Baghdad a Roma non si può fare a meno di pensare al tragitto percorso da Abramo quando da Ur dei Caldei si mise in cammino verso una terra promessa dove sarebbe fiorita la sua innumerevole discendenza. Osservando dal finestrino colpisce la durezza del territorio attraversato, per lo più desertico, e quindi spicca a maggior ragione la bellezza vitale dei corsi d’acqua. È il fascino aspro, estremo, della Mesopotamia, la terra “in mezzo ai fiumi”, i due grandi fiumi: l’Eufrate e il Tigri che attraversa Baghdad stessa. Questa medesima immagine, i fiumi, che aveva accompagnato l’inizio del viaggio, ci accompagna anche alla fine: l’acqua che porta la vita e il deserto, la morte, tutto intorno.

Il primo fiume che abbiamo incontrato è stato quello di sangue che fuoriusciva dalla chiesa di Nostra Signora della Salvezza, teatro nel 2010 del massacro di 48 cristiani durante la messa, e ci aveva soccorso la profezia di Ezechiele, che proprio in questa terra è vissuto ed è sepolto, con le immagini di un fiume che sgorga proprio dal tempio con acque potenti che «dove giungono, risanano e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà» (Ez 47, 9). La scena di Papa Francesco che venerdì pomeriggio entrava in quella chiesa cospargendola di acqua benedetta ha richiamato quell’immagine di rinascita, anzi di risurrezione.

È questa l’immagine, la sensazione che rimane al termine di questo viaggio così denso di episodi, suggestioni, significati: una sensazione di risurrezione. Qui viene in soccorso ancora il profeta padrone di casa, Ezechiele, che pre-vide in quella terra la morte e la risurrezione e la raccontò con immagini potenti: la valle piena di ossa secche che riprendono vita ascoltando la sua profezia «Mi disse ancora: Così dice il Signore, l’Eterno, a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e voi rivivrete. […] Così profetizzai come mi aveva comandato e lo Spirito entrò in essi, e ritornarono in vita e si alzarono in piedi [..] Così dice il Signore, l’Eterno: Ecco, io aprirò i vostri sepolcri, vi farò uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese d’Israele» (Ez 37, 5-10).

Quello che tutto il mondo ha visto in questi tre giorni del viaggio papale in terra irachena è stata una scena grandiosa, potente come solo la gioia sa esserlo, di risurrezione. Una terra desolata, devastata dalla guerra e dal terrorismo, abbandonata dal resto del mondo, che ritorna a respirare, palpitare, alzarsi, camminare. Lo ha espresso efficacemente in una frase l’arcivescovo dei Caldei Bashar Matti Warda al termine della messa nello stadio di Erbil, dove oltre diecimila persone hanno accolto calorosamente l’arrivo del Papa di Roma: «Santo Padre, la ringraziamo per il suo coraggio. Il suo coraggio scorre ora dentro di noi». Il coraggio come un fiume che, scorrendo, porta la vita dove prima dominava la morte. Questo il primo degli effetti (saranno tanti, qui la profezia è facile) che il viaggio di Papa Francesco svilupperà nel tempo a venire.

di Andrea Monda