La virtù dell’obbedienza nel libro di don Raffaele Aprile

Una via per il cielo

Marc Chagall «Il sacrificio di Isacco» (1966)
05 marzo 2021

Nato all’ombra e al servizio del santuario regionale della Madonna delle lacrime di Siracusa, il volume del carissimo don Raffaele Aprile — non nuovo a questa fatica di “lettura” della fede pensata e a volte anche poeticamente espressa — intende offrire uno studio agile e profondo sull’obbedienza, di cui Cristo è immagine perfetta. In Lui, l’autore presenta l’obbedienza come “via al cielo” di Maria santissima, l’Immacolata, figlia della terra, pienezza del tempo nel quale «Dio mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la legge» (Galati, 4, 4). E con lei anche i discepoli di Gesù — i “cristiani” — sono chiamati a percorrere l’itinerario ascendente dell’obbedienza in Cristo nel fiat di filiale accoglienza della volontà di Dio, vissuta come ascolto-risposta-impegno.

L’obbedienza. Una via per il Cielo, una virtù da riscoprire è il titolo della pubblicazione che don Raffaele Aprile ha scelto come tema e percorso di adesione alla divina volontà. Tre i fondamentali capitoli del volume che esaminano e approfondiscono, con acume e rigorosa attenzione ai testi biblici — quelli del Nuovo Testamento appunto — il tema dell’obbedienza nella triplice tipologia dei personaggi suddetti. Ad essi si aggiunge un quarto capitolo, a mo’ di sintetica rilettura del tema trattato ma dall’angolazione della volontà di Dio.

I quattro capitoli sono racchiusi tra una introduzione e una conclusione, organicamente delineate, quasi un accompagnamento, mano nella mano, del lettore dentro la miniera biblica, per giungere allo sbocco dell’agostiniano interrogativo: «Si isti et illi cur non ego?».

Ad impreziosire, sostenere, incoraggiare il cammino del lettore nel sentiero della non facile obbedienza, quale adesione alla Parola ascoltata studiata e meditata, il volume riporta otto importanti e profondi contributi, rispettivamente di quattro ecclesiastici, tre dei quali vescovi, e quattro laici: due uomini e due donne. Calvino affermava: «Omnis cognitio Dei ab obœdientia nascitur», ogni vera conoscenza di Dio nasce dall’obbedienza, cioè dall’ascolto della Parola che invoca il “fare”, il mettere in pratica. E se l’ascolto è la sintassi della relazione, il silenzio è la grammatica della Parola: essa esige ospitalità e obbedienza. La Bibbia sollecita una ermeneutica da parte del lettore credente, soprattutto attraverso l’esercizio sapienziale e attento del quotidiano ascolto: «Ascolta, Israele… tu amerai…» (Deuteronomio, 6, 4-5). Esso richiede una apertura totale dell’uomo a Dio e una profonda disposizione di amore. Non esiste ascolto senza amore! Amare Dio, ascoltare la sua voce, mettere in pratica la Parola sono tre aspetti di un’unica realtà, tre diverse formulazioni dell’obbedienza cristiana, quale vissuto di un unico fondamentale imperativo: «Ascolta… Amerai…». Perciò l’atto fondativo dell’obbedienza è il silenzio, interiore soprattutto. Il Dio del silenzio pronuncia la sua Parola nel silenzio, sovente proprio con il silenzio. Silenzio e Parola sono due movimenti della stessa partitura, due voci di uno stesso coro che si muovono intonando la melodia dell’obbedienza. «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». (cfr. Matteo, 12, 50; 21,29; Marco, 3, 35). Gesù riconosce suoi discepoli soltanto coloro che fanno la volontà di Dio Padre. La volontà del Padre non suscita tristezza; non giustifica tragedie, malattie, lutti, torri che crollano addosso ai costruttori. Gesù apre nei suoi discepoli una crisi profonda: la crisi del dire! Perché solo nel fare la Parola di Dio, cioè nel ridare al Verbo il suo natale nella nostra carne, si può costruire solidamente la casa della propria vita. Ecco perché siamo chiamati a passare dall’essere uditori all’esserci essendo facitori della Parola, cioè artisti di obbedienza in piena consonanza con la volontà di Dio.

di Mario Russotto
Vescovo di Caltanissetta