Il duplice appello all’udienza generale

Iraq e Myanmar
nel cuore del Pontefice

 Iraq e Myanmar nel cuore del Pontefice  QUO-052
04 marzo 2021

L’Iraq, meta dell’imminente viaggio apostolico, e il Myanmar, visitato invece nel novembre 2017, e oggi in piena crisi a causa del golpe militare del 1° febbraio scorso: dal Medio oriente al sud-est asiatico il pensiero di Papa Francesco è per questi due Paesi tormentati dalla violenza. Al termine dell’udienza generale di mercoledì 3 marzo — ancora senza la presenza di fedeli a causa della pandemia da covid-19 — il Pontefice ha parlato di entrambi con un duplice appello. Nel primo, ha chiesto preghiere a quanti lo seguivano attraverso i media «perché questo viaggio» nel martoriato Iraq «si possa fare bene». Del resto, questioni di sicurezza e l’emergenza sanitaria in atto tengono con il fiato sospeso gli organizzatori. Ma il vescovo di Roma non ha mai rinunciato alla speranza di compierlo; e per questo, a meno di quarantott’ore dalla partenza alla volta di Baghdad, ha ribadito che venerdì 5, «Dio volendo», si recherà nel Paese arabo «per un pellegrinaggio di tre giorni». Del resto, ha spiegato dalla Biblioteca privata del Palazzo apostolico vaticano, «da tempo desidero incontrare quel popolo che ha tanto sofferto» e «quella Chiesa martire nella terra di Abramo», il padre comune nella fede delle tre grandi religioni monoteistiche. Con una certezza: quella che, ha detto, «insieme con gli altri leader religiosi, faremo un altro passo avanti nella fratellanza tra i credenti». Tema quest’ultimo, divenuto prioritario nell’agenda del Pontefice, soprattutto a livello internazionale, dopo la firma ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune insieme con il Grande imam di Al-Azhar, la prestigiosa istituzione accademica dell’islam sunnita. E non è un caso che per il primo viaggio fuori dall’Italia dopo la pausa forzata di oltre un anno imposta dalla pandemia — l’ultimo era stato in Thailandia e Giappone proprio alla fine del 2019 — Francesco abbia scelto di nuovo un Paese a maggioranza musulmano, programmando anche un incontro con il Grande ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani a Najaf, una delle città sacre dell’islam sciita. Da qui l’accorata richiesta all’udienza generale «di accompagnare con la preghiera» la visita «perché possa svolgersi nel migliore dei modi e portare i frutti sperati». Con una significativa sottolineatura: «Il popolo iracheno — ha spiegato — ci aspetta; aspettava san Giovanni Paolo ii , al quale è stato vietato di andare». Ma proprio a causa del mancato appuntamento con il suo predecessore, «non si può deludere un popolo per la seconda volta», ha concluso.

Riguardo al Myanmar, poco prima Francesco aveva ricordato le «tristi notizie di sanguinosi scontri, con perdite di vite umane», sempre più ingenti, provenienti dal Paese asiatico. Nel «richiamare l’attenzione delle autorità coinvolte perché il dialogo prevalga sulla repressione e l’armonia sulla discordia» , il Papa ha rivolto «anche un appello alla comunità internazionale, perché si adoperi affinché le aspirazioni del popolo non siano soffocate dalla violenza». Con due “dediche” speciali: una per «i giovani di quell’amata terra», affinché sia concessa loro «la speranza di un futuro» in cui «odio e ingiustizia» possano lasciare «spazio all’incontro e alla riconciliazione»; e una per i «diversi leader politici incarcerati», tra i quali la premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, con l’auspicio espresso già durante il discorso dell’8 febbraio al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: che «il cammino verso la democrazia, intrapreso negli ultimi anni, possa riprendere attraverso il gesto concreto della liberazione» degli stessi.