La settimana di Papa Francesco

Il grande ponte

Uno striscione esposto a Erbil per dare il benvenuto a Papa Francesco (Reuters)
04 marzo 2021

Il viaggio apostolico del Santo Padre Francesco in Iraq può essere interpretato come un grande ponte che attraversa i tempi, gli spazi e li dilata verso orizzonti infiniti.

È un ponte nel cuore di san Giovanni Paolo ii in cui era sorto il desiderio di compiere un pellegrinaggio a Ur dei Caldei, il luogo dove Abramo ricevette la chiamata a uscire dalla sua terra, ad uscire da sé stesso e dirigersi sulla parola di Dio verso la terra che Egli avrebbe indicato. Un desiderio, quello di Papa Wojtyła che non poté compiersi ma che certamente risuonava ancora nel suo cuore quando dinanzi al mondo e rivolgendosi ai potenti della terra levò forte il suo grido contro la minaccia di un’ulteriore guerra i cui esiti infausti e di destabilizzazione del Paese sono stati sotto gli occhi di tutti.

Un ponte spirituale che riconduce all’esperienza stessa di Abramo come l’uomo che si pone in ascolto della voce di Dio, come l’uomo che è radicalmente Uditore della parola: seguendola esce dalle proprie certezze per andare incontro a Dio. È un tema caro a Papa Francesco perché in fondo riprende l’immagine della stessa Chiesa “ospedale da campo” che esce da sé stessa sulle strade del mondo seguendo la voce del Signore. Il richiamo ad Abramo è anche un riferimento a tutti coloro che nella fede di Abramo riconoscono una propria radice: le religioni abramitiche con l’esperienza dell’essere «fratelli tutti» evocata dal Papa nella Dichiarazione di Abu Dhabi e nell’enciclica. Nella stessa giornata della sosta ad Ur il Pontefice avrà una visita di cortesia con il Grande ayatollah Al-Sistani, una delle guide spirituali dell’islam sciita: una mano tesa, il desiderio di un incontro e di una possibile frequentazione.

La vicenda di Abramo è quella di uomo che lascia una dimora per fare della promessa di Dio la sua terra promessa: il compimento vero e proprio infatti è affidato piuttosto alla sua discendenza. Papa Francesco solcherà con i suoi passi quella terra di Mosul e della piana di Ninive, a Qaraqosh, che altri piedi, durante una notte, nell’agosto del 2014 hanno dovuto lasciare per l’invasione del cosiddetto Stato islamico: alcuni profughi sono tornati ad abitarvi, altri sono ancora dislocati a Erbil, molti sono partiti per l’Europa, gli Stati Uniti, il Canada o l’Australia. Il Pontefice vedrà gli spazi sacri profanati, e le case che furono abbandonate, ma chiederà di leggere tutti quegli eventi con la fede di Abramo, che partì, sperando contro ogni speranza, e lasciando che Dio fosse la sua dimora. Il Signore però chiede alla comunità umana di essere segno della sua presenza, attraverso la protezione degli indifesi, la tutela dei diritti umani fondamentali — primo tra tutti quello della libertà religiosa — e superando l’indifferenza verso coloro che sono costretti a partire come esuli e rifugiati.

Un ponte quello della visita di Papa Francesco che attraversa gli anni e giunge fino al 31 ottobre del 2010, quando nella cattedrale siro-cattolica di Bagh-dad si compì l’uccisione per un vile atto terroristico di 50 persone tra cui anche due sacerdoti e alcuni bambini al termine di una liturgia. Quell’atto si compiva a pochi giorni dalla conclusione del Sinodo per il Medio oriente, che recava al suo interno un appello e una profezia. L’appello alla consapevolezza di essere comunità delle origini, testimoni cioè della comunione entro un contesto di diversità e talora frammentazione. In questo modo rimanendo profezia di unità ed evitando che la diversità delle tradizioni rituali e confessionali si trasformi in frammentazione e divisione. La comunione tra noi è possibile soltanto se si attinge forza dalla nostra relazione con il Signore Crocifisso e Risorto, se non si smette di essere suoi discepoli, anche se la strada passa anche per noi dai calvari del nostro tempo.

Il martirio di sangue dell’Iraq si affianca alla testimonianza della carità: quella quotidiana, vissuta verso i poveri. Penso alle attività della Caritas cui io stesso ebbi modo di partecipare nel corso di una delle mie visite, attraversando i confini dei quartieri sciiti e sunniti della capitale, per recare l’aiuto della comunità cristiana, come pure dei laboratori attivati specialmente per le donne e le mamme. Ricordo la tenerezza delle suore di madre Teresa nell’accudire i bambini disabili negli spazi attigui alla cattedrale latina, o al centro per gli anziani privi di risorse gestito dalla Chiesa siro-cattolica a Baghdad. La furia distruttrice del Daesh ha preso di mira anche i tesori della storia e della cultura (pensiamo alle distruzioni in diretta televisiva di alcuni monumenti): la comunità cristiana, specialmente attraverso l’opera della comunità dei padri domenicani, si è presa cura di preservare molti codici e testi antichi, testimonianza di un passato glorioso.

Il Tigri e l’Eufrate sono grandi e antichi corsi d’acqua, che hanno creato quella che abbiamo imparato a conoscere sui libri di storia come la “mezzaluna fertile”: in questi anni abbiamo imparato tutti noi a conoscere e forse anche alimentare un terzo corso d’acqua, che feconda e disseta: è il torrente della solidarietà, che il mondo ha saputo esprimere nei confronti degli sfollati e degli esuli: è significativo che il Santo Padre abbia acconsentito a che nel seguito papale fosse inserita una rappresentante delle agenzie che compongono la Roaco, tra le tante realtà che continuano a garantire aiuti per la sopravvivenza, ma anche per la ricostruzione di villaggi della piana di Ninive. La scelta è caduta su una esponente della fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre, nella sede operativa in Germania: un giusto riconoscimento che esprime apprezzamento per l’operato e un incoraggiamento ai molti donatori che anche con piccolissime offerte — come l’obolo della vedova lodata da Gesù nel Vangelo — rendono possibile a molti di continuare a sognare.

L’aereo con a bordo Papa Francesco, per giungere a Baghdad, sorvolerà i cieli del Medio oriente, quegli stessi spazi che non di rado — anche di recente — sono solcati da aerei da guerra che seminano distruzione e morte. Il Santo Padre, sfidando il tempo di pandemia che tutti ha rinchiuso nelle proprie case ed entro i propri confini, torna a visitare un Paese e, come già in altre occasioni, non inizia dai ricchi e dai potenti, ma dalle periferie, rese ancora più destabilizzate dai conflitti e dagli interessi del “primo Mondo”. Una benedizione e forse un pensiero non potrà mancare sui Paesi come la Siria e il Libano: la prima, che celebra il triste anniversario dei dieci anni dall’inizio del conflitto, e il “Paese dei cedri”, laboratorio in cui l’essere «Fratelli tutti» è dimensione quotidiana del vivere tra appartenenti a confessioni e religioni diverse, ma messo in ginocchio dalla crisi economica e dallo stallo della politica.

Molti ponti evocati, di passaggio tra le epoche e i luoghi: confidiamo che il viaggio apostolico di Papa Francesco sarà ricordato come un tocco dell’arcobaleno che nei primi giorni della creazione certificò l’alleanza del cielo e della terra.

di Leonardo Sandri
Cardinale prefetto della Congregazione per le Chiese orientali