Una presenza che risale
agli albori del cristianesimo

 Una presenza che risale agli albori del cristianesimo  QUO-051
03 marzo 2021

La lettera Nun. Il marchio che usarono i miliziani del sedicente Stato islamico a Mosul per indicare le case dei Nassarah, i seguaci di Gesù, i “Nazareni”, in quella strategia del terrore che portò all’esodo in massa dei cristiani dalla Piana di Ninive nel 2014: dai centri di Qaraqosh o Bakhdida, Telkaif, Tel Eskof, Bartella, Qaramlesh, Bashiqa. Costretti a convertirsi, pagare una tassa o fuggire. Eppure i “Nazareni” lì vivevano dagli albori del cristianesimo. Lì avevano le loro radici e il dolore di doversene andare lasciando non solo le proprie cose ma la propria “geografia” deve essere rimasto impresso, assieme alla paura, nei loro cuori.

La vita di questa comunità, suddivisa oggi tra caldei, siri, armeni, latini, melkiti, ortodossi e protestanti, non è stata facile segnata da discriminazioni e persecuzioni nel corso dei secoli.

Le radici bibliche


Eppure quella dei cristiani in Iraq è una presenza antica e testimoniata anche negli Atti degli Apostoli. Si tratta di una Chiesa che ha le sue radici nel primo secolo con la predicazione dell’apostolo san Tommaso e dei suoi discepoli Taddeo, conosciuto in Oriente con il nome di Addai, e Mari che evangelizzarono in Mesopotamia e a loro è attribuita la composizione di una particolare anafora.

Ma la terra dell’attuale Iraq già prima del cristianesimo si intreccia con le radici del popolo d’Israele. Da Ur verso Carran uscirà Abramo diretto verso le terre di Canaan. È poi interessante notare come Ninive, che sorge di fronte alla città di Mosul, più e più volte compaia nella Bibbia. Capitale dell’Assiria raggiunse il suo splendore massimo nel vii secolo avanti Cristo e alla fine di quello stesso venne distrutta, come preannunciato dal profeta Naum. Citata in vari libri dell’Antico testamento, il profeta Giona vi fu mandato da Dio per preannunciarne la distruzione ma «i cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli» e «Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece».

E anche Gesù fa riferimento a questi luoghi attestando l’importanza di queste terre nella geografia e nella storia della salvezza: «Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona».

In questa terra il popolo ebraico soffrì l’esilio babilonese. Culla di antichissime civiltà, sono anche i santuari, i monasteri e le chiese a testimoniare la presenza del cristianesimo fin dai primi passi.

La conquista araba e la Chiesa d’Oriente


La Chiesa d’Oriente fu molto fiorente, testimonia in una nostra intervista il sacerdote libanese maronita Jean Azzam, parroco e professore di Sacra scrittura alla Pontificia facoltà di Teologia dell’Università Santo Spirito di Kaslik a Junieh, in Libano. Da 12 anni tiene conferenze su temi biblici e teologici in Iraq soprattutto nella zona di Erbil, dove ha anche visitato le comunità locali. È anche padre spirituale al seminario Redemptoris Mater di Beirut. «Nel vii secolo dopo Cristo quando arrivarono gli arabi che sconfissero i sassanidi, i cristiani erano già almeno il 50% degli abitanti dell’attuale Iraq, di lingua e cultura siriaca. Poi, poco a poco, hanno adottato la lingua araba per potersi integrare mentre il siriaco è stato mantenuto nella liturgia e nella letteratura».

Quindi, spiega, con l’arrivo del Califfato degli abbasidi, il centro del potere si trasferì a Baghdad. In questo contesto «i cristiani hanno svolto un ruolo speciale facilitando l’integrazione culturale e soprattutto nel campo delle traduzioni. Ricordiamo un famoso letterato, Hunayn Ibn Ishâq al-‘Ibâdî, che tradusse più di 40 libri dal greco all’arabo e più di 95 in siriaco». Si trattava di libri della filosofia greca e delle scienze greche dei secoli prima di Cristo, come Aristotele e Platone. Conoscenze che poi gli arabi hanno sviluppato e in questo modo sono anche passate all’Occidente. Si tratta, quindi, di «un grande contributo alla cultura del tempo».

Il sacerdote ricorda anche un’altra figura centrale come il Catholicos Timoteo il Grande, (780-832) che fu letterato, di cui si ricordano diversi dialoghi con il Califfo al-Mahdī su questioni di fede cristiana e islamica.

Si tratta, dunque, di una grande influenza in Iraq e nel mondo a cui ha contribuito questa Chiesa d’Oriente nell’ambiente islamico. «Poi però — ricorda don Azzam — poco a poco, gli abbasidi hanno cercato di convertire molti cristiani all’islam e tuttavia questa Chiesa ha evangelizzato a Damasco, Gerusalemme, Alessandria, Cipro, ma anche hanno mandato missionari in India — la Chiesa in Malabar ha avuto origine dall’evangelizzazione di questa Chiesa — e anche in Cina».

Nel periodo degli ottomani


Gli ottomani, poi, hanno conquistato la regione a partire dal 1516 e hanno sconfitto i mamelucchi «che — ricorda il sacerdote — hanno compiuto terribili persecuzioni verso i cristiani di tutte le regioni del Medio oriente. Gli ottomani lasciarono vivere i cristiani. E i dialoghi della Chiesa d’Oriente con Roma iniziarono dapprima a Cipro, e poi nello stesso Iraq, andando avanti a più riprese, fino a quando ( xviii-xix secolo), c’è stato un ramo abbastanza grande di questa Chiesa che è diventato caldeo, quindi cattolico in unione con Roma».

In questo periodo era comunque necessario “il permesso” del sultano per ogni atto all’interno della Chiesa, racconta don Azzam. Poi con la Prima guerra mondiale ci fu una grandissima persecuzione contro i cristiani, rimarca ancora il sacerdote ricordando che morirono 1 milione e mezzo di armeni e in questa ondata di massacri sono stati uccisi anche molti membri della Chiesa d’Oriente e di altre Chiese, anche vescovi e preti. Per 1.400 anni ci sono stati dunque momenti di connivenza buona ma «ogni 20 o 30 anni persecuzioni più o meno locali».

La convivenza possibile su cui lavorare


Quindi nel 1920 il territorio fu affidato dalla Società delle Nazioni all’amministrazione britannica. L’Iraq divenne una monarchia indipendente nel 1932 e una Repubblica nel 1958 dopo un colpo di Stato. Nel 1979 l’arrivo di Saddam Hussein. Durante il regime dittatoriale, i cristiani avevano trovato un modus vivendi che aveva consentito alla Chiesa di svolgere attività anche nel campo socio-caritativo. Saddam ha bisogno dell’appoggio dei cristiani, che in quegli anni — nonostante la nazionalizzazione delle loro scuole — sono «impegnati nell’istruzione, nella medicina, e pur essendo una minoranza, hanno importanza e sono apprezzati per la loro cultura e apertura», spiega il sacerdote.

Quindi, nonostante la nazionalizzazione delle loro scuole, i cristiani avevano trovato un modus vivendi che aveva consentito alla Chiesa di svolgere attività anche nel campo socio-caritativo.

«I cristiani comunque hanno sempre voluto convivere con i musulmani e hanno saputo farlo e molti musulmani hanno apprezzato la presenza dei cristiani», rimarca don Azzam sottolineando che «bisogna riconoscere che la convivenza è possibile. Anzi, è un ambito in cui lavorare e sono contento — afferma — che Papa Francesco abbia fatto queste aperture con il mondo musulmano, sulle orme dei suoi predecessori. Ad esempio la grande intesa di 2 anni fa (con il Documento sulla Fratellanza Umana nda). E ora incontrerà il capo religioso degli sciiti in Iraq. È quindi qualcosa da costruire ed è possibile farlo».

Le esperienze di un perdono più forte della morte


La situazione in Iraq per i cristiani precipita dopo le due guerre del Golfo. Una serie di attacchi si verificano contro i cristiani fino alla drammatica persecuzione messa in atto dal sedicente Stato islamico, fra il 2014 e il 2017, in particolare con la conquista di Mosul e il conseguente esodo dei cristiani verso altre zone e Paesi. Padre Azzam è stato negli ultimi 12 anni più volte in Iraq specie nella zona di Erbil, nel Kurdistan iracheno. «Già dalla guerra fra Iraq e Iran iniziò l’esodo dei cristiani all’estero. Poi l’embargo, il sedicente stato islamico... tutto questo — nota — ha provocato l’esodo di massa verso le regioni curde e lì il Patriarca e i vescovi hanno organizzato veramente un’accoglienza fraterna, molto bella verso tutti i profughi. Quando sono stato lì a Ankawa, nella città di Erbil, ho visto tutto il lavoro della Chiesa, dei preti, di molti laici, di molte realtà. Poi monsignor Bashar Warda, arcivescovo cattolico caldeo di Erbil — che cercava, oltre al soccorso materiale ai profughi, di assicurare loro un nutrimento spirituale centrato sull’insegnamento biblico — mi invitò a fare delle conferenze e ha chiamato anche molte realtà ecclesiali, carismi nati dopo il Concilio Vaticano ii . Quello che conosco bene è il Cammino neocatecumenale. Anche tanti altri vescovi hanno chiamato queste realtà per rispondere non solo ai bisogni materiali, ma anche spirituali e di fede, per poter contribuire a aiutare a rispondere alla morte con la Risurrezione, con la speranza».

Quindi il sacerdote ricorda le toccanti testimonianze delle persone che hanno sofferto molto, che hanno perso tutto. Dicevano, racconta, di non voler condannare o giudicare i membri dell’Isis perché affermavano: «loro non sanno quello che fanno». E ripetevano queste parole di Cristo sulla croce. Testimonianze, evidenzia, di grande sofferenza, ma anche di consolazione e di fede. «Il cristiano — rimarca il sacerdote — nei momenti di morte e di ingiustizia riesce a mostrare la vita che è dentro di lui e il perdono per gli altri».

L’esodo dei cristiani


Degli 1,4 milioni di cristiani che vivevano in Iraq alla vigilia della seconda Guerra del Golfo, oggi se ne contano fra i 300 e i 400mila. Solo nel periodo tra il 2003 e il marzo 2015 sono stati uccisi 1.200 cristiani. Tra loro monsignor Paulos Rahho, l’arcivescovo di Mossul dei caldei, assassinato nel 2008, cinque sacerdoti e le 48 vittime dell’attentato jihadista del 31 ottobre 2010 contro la chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Soccorso. 62 le chiese danneggiate o distrutte. Con l’avvento dell’Is, più di 100mila cristiani sono stati costretti ad abbandonare le loro case insieme ad altre minoranze perseguitate come gli yazidi. E circa 55mila sono andati via in questi ultimi anni dal Kurdistan iracheno. Dopo la sconfitta del Califfato, nel 2017, pian piano alcuni cristiani hanno fatto ritorno nella Piana di Ninive ma hanno paura. È iniziata e va avanti la ricostruzione anche grazie all’impegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre, ma si vive mancanza di sicurezza, molestie, intimidazioni e richieste di denaro da parte di milizie e gruppi ostili che continuano a essere una minaccia per la comunità cristiana irachena, tanto che il 57% dei cristiani pensa di emigrare.

Padre Azzam esprime l’auspicio che il Signore aiuti queste chiese in Medio oriente che vivono questo dramma perché i cristiani possano rimanervi e dare una buona testimonianza. E il professore di Sacra scrittura ripete, per concludere, un detto musulmano: «i cristiani sono una grande ricchezza per i musulmani e la loro assenza è una perdita non sostituibile».

Segno di pace e riconciliazione


Delle istanze dei cristiani si è fatto portavoce il patriarca Louis Raphaël Sako, insistendo sull’importanza di un dialogo coraggioso tra tutte le parti in causa in Iraq per costruire uno Stato forte e pluralista. Da anni le Chiese cristiane insistono per una Costituzione laica e per avere più spazi nella vita politica e sociale del Paese. La carta approvata nel 2005 formalmente garantisce il rispetto della libertà religiosa ma di fatto l’islam costituisce una fonte primaria della legislazione. C’è dialogo e ancora strada da percorrere. Papa Francesco ha sempre fatto sentire la sua vicinanza ai cristiani e questo viaggio apostolico la esprime a 360 gradi. Il Pontefice, infatti, ha ricordato «i cristiani costretti ad abbandonare i luoghi dove sono nati e cresciuti, dove si è sviluppata e arricchita la loro fede», aggiungendo che bisogna fare in modo «che la presenza cristiana in queste terre, continui ad essere ciò che è sempre stata: un segno di pace, di progresso, di sviluppo e di riconciliazione tra le persone e i popoli».

di Debora Donnini