Le missionarie francescane del Sacro Cuore accanto ai pigmei del Congo Brazzaville

Ricchezza della carità
che combatte la miseria

  Ricchezza della carità che combatte la miseria  QUO-051
03 marzo 2021

Ovunque, sulla terra, uomini e donne stanno vivendo con gratitudine e orgoglio, umiltà e passione l’entusiasmante alleanza-amicizia, la straordinaria complicità nella generazione offerta dal Signore, che nell’agape dell’atto creatore ha voluto irrevocabilmente affidare la custodia e la cura creativa del mondo agli esseri umani. Sono uomini e donne che spendono le loro qualità migliori affinché altri abbiano una vita buona e in molti modi generano l’umano con dispendio e sacrificio di sé. Fra loro vi è suor Rita Panzarin: 75 anni, infermiera, appartiene alla Congregazione delle missionarie francescane del Sacro Cuore. Dal 1995 vive nella intricata foresta equatoriale del Congo Brazzaville, a Sembé, villaggio situato nel nord del Paese, a non molta distanza dal confine con il Camerun. Il territorio, attraversato da un’unica pista battuta, ardua da percorrere, è abitato da bantu e, in maggioranza, da pigmei che risiedono in capanne di terra e foglie e si nutrono di quanto offre la foresta: animali, frutti, radici. «Sono poverissimi e, purtroppo, anche molto discriminati dai bantu: sono trattati come servi e, quando lavorano saltuariamente nei villaggi più grandi, svolgono impieghi umili ricevendo compensi mortificanti», racconta suor Rita. «Prima di giungere in Congo ho trascorso vent’anni in Camerun, ho conosciuto la povertà, ma la miseria dei pigmei non ha uguali».

Quando nel 1995 la religiosa e le sue consorelle si recarono nei villaggi della foresta per la prima volta furono accolte molto calorosamente: le persone desideravano che venisse insegnato loro a pregare, a leggere e scrivere poiché erano tutte analfabete. Le suore, insieme ad Anita Poncini, insegnante elvetica in pensione che si era unita alla missione, si misero subito al lavoro edificando tre capanne da usare come chiesette e tre come scuole. «I bantu pretendevano che venissero costruite scuole per la loro etnia ed altre per i pigmei», prosegue suor Rita. «Noi ci opponemmo con decisione a questa richiesta: i piccoli dovevano studiare tutti insieme, e imparare a convivere pacificamente. E così è accaduto». Nel corso degli anni le tre scuole elementari sono state ampliate e meglio strutturate: oggi accolgono oltre cinquecento bambini che crescono uniti e hanno stretto fra loro solidi legami d’amicizia.

Sin dal loro arrivo a Sembé, le suore si resero conto che la popolazione della foresta aveva anche urgente bisogno di assistenza sanitaria: decisero dunque di aprire un piccolo dispensario medico (una capanna con tetto in lamiera) iniziando a offrire cure. Anno dopo anno questo locale è cresciuto sino a diventare il qualificato ospedale Shalôm: dedicato a don Domenico Pincelli, oggi è dotato di novanta posti letto, con reparti di maternità, pediatria, chirurgia, medicina generale cui si aggiungono un centro per le trasfusioni, uno per l’aids e uno per cura della tbc. Unico nosocomio nel raggio di duecento chilometri, è considerato un’eccellenza della sanità congolese. «Qui si lavora ininterrottamente, giorno e notte, i pazienti sono sempre moltissimi e provengono da villaggi della foresta anche molto lontani da Sembé. Ci prodighiamo per garantire a tutti le cure migliori, svolgere attività di prevenzione e offrire i farmaci necessari, che ogni mese andiamo ad acquistare in Camerun», dice suor Rita. «L’assistenza sanitaria e l’educazione assicurata ai bambini sono certamente d’aiuto per i pigmei: le loro condizioni sono un poco migliorate, tuttavia continuano a vivere in condizioni durissime, la loro miseria è desolante. Le mie tre consorelle ed io andiamo spesso nei villaggi per stare con loro e aiutarli nelle necessità quotidiane, portando anche in dono pane e scatolette di sardine: è struggente la gioia con cui ci ringraziano. Ed è ammirevole lo spirito di condivisione che li anima: non c’è pigmeo che non divida con l’intero villaggio quanto ha faticosamente cacciato o pescato in foresta».

Le suore si occupano della catechesi nelle scuole, curano la preparazione ai sacramenti e l’animazione liturgica, affiancando i due sacerdoti presenti a Sembé. «Sono grata alla nostra congregazione, che non ci ha mai fatto mancare incoraggiamento, sostegno e corposi aiuti», afferma la religiosa. «Soprattutto, sono grata al Signore che mi ha permesso di realizzare il sogno della giovinezza: vivere il vangelo in Africa spendendomi per i più poveri fra i poveri. Certo, la vita in foresta è particolarmente faticosa. Ad esempio, ho trascorso notti intere nel folto della vegetazione a bordo dell’auto in panne aspettando che passasse qualcuno a dare soccorso. Ma, al pari delle gioie e delle soddisfazioni, le difficoltà fanno parte della vita missionaria e bisogna affrontarle per il bene di quanti il Signore affida alle nostre cure. A coloro che si sentono chiamati alla vita missionaria ma hanno paura dei pericoli che essa comporta, mi permetto di dire: non temete. Il Signore, al momento opportuno, donerà a ciascuno il coraggio, la forza, la volontà, le energie, i mezzi per compiere la Sua opera di cura». Il discepolo porta pane e pesciolini. Ci pensa Lui a moltiplicare.

di Cristina Uguccioni