Quindici migranti annegati nell’ennesimo naufragio nel Mediterraneo centrale

I sommersi e i salvati

Rescued migrants sit aboard a Libyan coastguard vessel arriving at the capital Tripoli's naval base ...
01 marzo 2021

Continua la tragedia della letale rotta dei migranti che, dalla Libia, attraversa il Mediterraneo centrale a prezzo di migliaia di vite umane impossibili da contare: gli scomparsi sepolti in mare, nel tentativo di approdare in Italia, da domenica sono quindici in più per le statistiche ufficiali che registrano l’ennesimo lento naufragio di un barcone sovraccarico (fra le 115 e le 120 persone). Ma molte imbarcazioni di fortuna partono dalla Libia e scompaiono, avvertono le ong. E che il Mediterraneo centrale sia ormai un cimitero sommerso — nonostante i salvataggi — non è messo in dubbio da nessuno.

L’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) lancia, inoltre, ripetuti allarmi anche per i salvati, i sopravvissuti. Nel naufragio di domenica — una lenta agonia fra il gelo delle acque e il fuoco del motore a gasolio che ustionava la gente nel panico — i salvati sono stati 95, ha raccontato la portavoce Safa Msehli.

Sono stati riportati sulle coste libiche da una nave guardacoste: fra di loro anche sei donne e due bambni piccoli. Erano fuggiti dalle coste della città di Zawiya su un gommone. All’attracco del viaggio di ritorno sono stati rifocillati, secondo immagini diffuse domenica. Il loro destino finale, avverte comunque la portavoce dell’Oim, sono i campi di detenzione «le cui condizioni continuano a peggiorare» ha avvertito. Di loro, nello scenario libico, si perdono le tracce. Non a caso le ong riferiscono di migranti che, alla prospettiva di un rientro in Libia preferiscono buttarsi in acqua. Secondo l’organizzazione dell’Onu, dall’inizio del 2021, sono state 3.700 le persone — tra uomini, donne e bambini — riportate in Libia e riconsegnate alle autorità. I 95 salvati di domenica sono quasi tutti africani e provengono per lo più dal Camerun, dal Sudan e dal Mali come ha constatato un rappresentante dell’Oim presente all’arrivo a Tripoli della nave. Tutti Paesi oppressi dalla guerra.

A ricordare quelli che non ce la fanno e sfuggono alle statistiche ufficiali sulla rotta del Mediterraneo, ha detto ancora Msehli, ci pensa il mare: «La vista di corpi ributtati sulla spiaggia dopo i naufragi è diventata tristemente familiarie» ha riferito. «Tragedie e perdite di vite evitabili continuano mentre persiste una politica di silenzio e inazione», ha scritto infine la portavoce. La conta ufficiale delle vittime per il 2020 è di 1.200 morti in mare.

Sabato la nave dell’ong Sea Watch aveva salvato altre 102 persone nel tratto di mare fra la Sicilia e la Libia. Altre 41 erano state tirate a bordo dopo una seconda operazione. Per loro il problema ora è l’attracco in un porto sicuro secondo il diritto internazionale.

Il destino delle persone riportate in Libia e destinate a centri di detenzione, fa sempre più spesso l’oggetto degli appelli delle organizzazioni dell’Onu e di quelle non governative. Trafficanti e criminali, nel caos della situazione, mettono le mani su quelli che considerano niente più che carichi umani.