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Francesco, la transizione
ecologica e l’epifania
dell’economia civile

 Francesco, la transizione ecologica e l’epifania dell’economia civile   QUO-049
01 marzo 2021

Quando nelle città italiane del medioevo cominciarono a nascere i rivoluzionari concetti di reddito, banca e assicurazione, la cultura cattolica dominante non voleva certo gettare le basi per un’economia mondiale di mercato, ma piuttosto conciliare l'attività economica dei singoli cittadini con i fondamenti morali della comunità urbana. Queste origini cristiane ci ricordano dunque come l’economia sia nata al servizio del bene comune, in un fiorire di benessere sociale e culturale delle città, dove le attività commerciali si sviluppavano proprio grazie alla solidarietà sociale che erano chiamate a sostenere. Il distacco dei modelli economici dominanti da questa reciprocità dell'economia civile, è avvenuto quando i mercati hanno traguardato la dimensione umana e cittadina e le aziende hanno cominciato ad allargare il proprio raggio d’azione perdendo l'interesse per il bene comune dei territori.

Nonostante il progressivo allontanamento della cosìddetta economia mainstream dallo spirito fondativo della scuola italiana di matrice cattolica, nel corso dei secoli il vecchio continente ha sempre continuato ad esprimere un pensiero indipendente e sociale che contrapponeva all’homo oeconomicus — di impronta anglosassone — l’uomo civile caratterizzato da una prevalenza delle relazioni umane sul mero profitto.

Ebbene viviamo oggi un tempo in cui questo lungo e faticoso cammino dell’economia civile sembra finalmente giunto alla sua epifania. L’impressionate accelerazione della crisi climatica infatti, assieme alla progressiva presa di coscienza planetaria sui drammatici errori di un’economia predatoria, hanno finalmente imposto a tutti l’urgenza di uno sviluppo realmente sostenibile e attento alla qualità della vita. Joe Biden, Ursula von der Leyen, Mario Draghi, sono solo alcuni dei nuovi autorevoli leader mondiali che hanno posto al centro della propria agenda di governo una transizione ecologica capace di cambiare le regole dell’economia globale. Già, perché dopo il covid è diventato evidente a tutti che ad essere in gioco non è più solo la sostenibilità ambientale dei tradizionali modelli di produzione e consumo, quanto piuttosto la pericolosità di un sistema distante dalla vita reale delle persone e per questo incapace di renderle sicure e felici.

In questo quadro storico, il magistero di Papa Francesco ha mostrato una sapienza profetica attraverso documenti straordinari — come la Laudato si’ e Fratelli Tutti — capaci di dare forza e prospettive al ruolo di tanti economisti illuminati, oggi indispensabili alla transizione in atto. Basta pensare al francese Gaël Giraud, autore della pluripremiata opera Transizione ecologica dove viene alla luce la perversione di un sistema finanziario che lega letteralmente le mani alla politica. Come basta pensare agli esponenti più illustri dell’economia cattolica italiana — Smerilli, Zamagni, Becchetti, Bruni — i quali hanno sempre coniugato un rigoroso lavoro accademico con un concreto impegno civile. E come dimenticare il peso di Papa Francesco nella definizione dell’Agenda Onu 2030 che tanta forza sta dando ad economisti internazionali come Jeffrey Sachs ed Enrico Giovannini, i quali declinano il proprio impegno civile nelle accademie, nelle istituzioni come anche nella valorizzazione del terzo settore.

Siamo dunque davanti ad un’occasione storica per restituire al sistema economico mondiale la sua originaria missione di sostegno all’uomo. Grazie al pontificato di Papa Francesco oggi la politica può contare su un largo consenso verso i principi dell'ecologia integrale, e grazie al cammino secolare dell’economia civile le istituzioni hanno a disposizione una “cassetta degli attrezzi” adeguata che il primo firmatario della Carta di Firenze per l’economia civile, il professor Becchetti, sintetizza in quattro punti fondamentali: l’homo oeconomicus deve essere sostituito dall’uomo civile capace di moltiplicare il valore di ciò che realmente serve attraverso il dialogo, la cooperazione e la fiducia; la biodiversità è il nostro unico grande patrimonio e anche le imprese devono essere favorite nella loro diversità e nella loro capacità creativa di generare valore sociale ed ambientale; il nostro obiettivo non è affatto l'aumento del Pil, quanto piuttosto il dare senso e soddisfazione alla vita di tutti e di ciascuno. Quindi anche gli indicatori di successo devono cambiare affinché misurino il nostro più autentico benessere; siamo tutti protagonisti della vita sociale e la nostra felicità dipende dalle relazioni umane. Quindi istituzioni e società civile devono progettare insieme il futuro, in un contesto di partecipazione e di cittadinanza attiva che è poi l’unico vero antidoto contro malessere e conflitto.

di Pierluigi Sassi