La morte del paroliere Luigi Albertelli

Un bel fiume di parole

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27 febbraio 2021

Quante volte quel cognome “Albertelli” lo abbiamo sentito ripetere dai presentatori di Sanremo, introducendo una canzone ma senza farci caso più di tanto, anche quando le abbiamo trovate stupende e ancora oggi, a distanza di decenni, le cantiamo. Ma dietro quelle parole c’era proprio lui, Albertelli Luigi, piemontese di Tortona, scomparso pochi giorni fa a 86 anni e ancora al lavoro, tra fiumi di parole da dare ai cantanti di mezzo mondo.

Da Zingara di Bobby Solo - Iva Zanicchi a Io mi fermo qui dei Dik Dik fino a La notte dei pensieri di Michele Zarrillo, passando per le 30 canzoni di Mia Martini (fu quello il periodo più intenso e di successo per la cantante) e quella Ricominciamo che Adriano Pappalardo urlò come una richiesta d’amore, disperato ma non senza speranza.

Così in effetti erano un po’ tutti gli amori che Albertelli scriveva e che altri (Enrico Riccardi soprattutto, ma anche dei giovani Umberto Tozzi e Franco Califano) mettevano poi in musica, passaggio oltremodo facile quando dovevi basarti su parole che sembravano uscite dallo scrigno dei desideri.

Poi c’è stato anche un altro periodo di Luigi Albertelli paroliere, legato a sigle tv per bambini che però hanno imparato e ancora oggi canticchiano soprattutto i grandi. Ufo robot e Furia restano inarrivabili nella spensieratezza delle gite fuori porta con i bambini dietro, tra le insalate di matematica e il cavallo del west che beve solo caffè, così come la dolcezza dell’Ape Maia o di Anna dai capelli rossi, con la sintonia anche in questo caso trovata con musicisti del calibro di Vince Tempera e Augusto Martelli. Ma il nome, anzi il cognome “Albertelli”, resta indissolubilmente legato alle parole di una musica leggera che ancora andava a 45 giri, a hit che magari oggi fanno un po’ sorridere, ma che hanno segnato quella storia italiana, non solo delle canzoni, che qualcuno prima o poi dovrebbe scrivere, con annessi e connessi.

Compresi quelli del duo Wess - Dori Ghezzi, lei una bellissima fanciulla bionda, lui un timido ragazzo di colore, che Luigi Albertelli impose a metà degli anni Settanta con quel duetto di una litigata tra innamorati che poi si ritrovano perché sono una sola cosa, anzi Un corpo e un’anima: «E non ci lasceremo mai / abbiamo troppe cose insieme / se ci arrabbiamo poi / ci ritroviamo poi / un corpo e un'anima / Le stesse cose che vuoi tu / le voglio io e questo è amore / anche stasera no i/ noi siamo più che mai / un corpo e un'anima».

Oggi spesso le parole, poche e confuse, vengono date a cantanti di una sola stagione, mentre Albertelli riuscì nell’impresa di cucirle addosso ad uno sconosciuto giovane idraulico dell’Oltrepo pavese che aveva preso il nome di un folletto dei cartoni animati, Drupi, ma che poi diventava un gigante quando, facendoti pensare alla dolcezza di un amore ma anche al desiderio di Infinito, cantava così: «Sereno è/scivolare dentro il mare e poi/senza il peso dei pensieri miei/Giù nel buio la conferma che/lassù in alto sempre tu ci sei/che alla luce aspetti me».

di Igor Traboni