Atlante - Cronache di un mondo globalizzato
L’attacco nella Repubblica Democratica del Congo porta alla ribalta il dramma di un Paese ricchissimo ma costretto alla miseria e alla fame

Tre vite spezzate
nel cuore del Nord Kivu

Forze dell’Onu sul luogo in cui hanno perso la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo (Reuters)
26 febbraio 2021

L’attacco armato nella Repubblica Democratica del Congo contro il convoglio del Programma alimentare mondiale (Pam), che lunedì scorso ha spezzato le vite dell’ambasciatore italiano, Luca Attanasio, del carabiniere, Vittorio Iacovacci, e dell’autista Mustapha Milambo, ha squarciato il sipario sulla realtà della martoriata regione orientale del Kivu, dove da oltre 30 anni si consumano nell’indifferenza e nel silenzio conflitti e violenze che hanno causato milioni di vittime. Come noto, l’imboscata, non ancora rivendicata, ha avuto luogo lungo la strada che collega Goma (capitale del Nord Kivu) a Rutshuru. Le Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr), una milizia ruandese hutu accusata da Kinshasa di essere responsabile dell’agguato, hanno smentito qualsiasi implicazione.

Per chiarire le dinamiche dell’agguato sono state aperte tre inchieste: una italiana, della Procura della Repubblica di Roma, una congolese e una dell’Onu. Il vice-segretario generale delle Nazioni Unite a capo del Dipartimento per le operazioni di pace (Dpo), Jean-Pierre Lacroix, ha annunciato già lunedì scorso l’avvio di un’indagine interna. A breve il Direttore Esecutivo del Pam, David Beasley, farà pervenire alle autorità italiane un primo rapporto riguardante sia il programma della visita sia le misure di sicurezza adottate a salvaguardia della delegazione.

Il rapimento per ottenere un riscatto sembra al momento il movente più verosimile dell’imboscata, avvenuta all’interno del parco nazionale dei Virunga, una delle prime aree protette in Africa, dichiarata nel 1979 patrimonio dell’umanità dall’Unesco. In questo cuore verde del continente agiscono indisturbati innumerevoli attori non statali, forze ribelli e milizie, con decine di migliaia di paramilitari. Almeno 150 gruppi armati si contendono il controllo di un territorio selvaggio, lontano da qualsiasi autorità statale. Un’economia informale che vive non solo dello sfruttamento illegale delle risorse minerarie, ma anche di contrabbando e di estorsione ai danni della popolazione civile. I crimini commessi sono indicibili: traffici illeciti, villaggi saccheggiati, taglieggiamenti, reclutamento di bambini soldato e stupri come arma di guerra.

La perenne instabilità e la conseguente “balcanizzazione” dell’est congolese incontrano evidentemente l’interesse di molti attori. La Regione dei Grandi Laghi è instabile per una molteplicità di conflitti e di interessi economici di player locali, regionali ed esterni al continente. I territori a confine fra Congo, Rwanda e Uganda sono una faglia che riflette molte criticità: violenze, povertà e incalcolabili risorse naturali, dove si trova un quarto dell’oro globale, un terzo dei diamanti, la seconda riserva al mondo di rame, per non parlare degli enormi giacimenti di coltan e petrolio. Questa regione è un paradosso vivente: ricchissima, ma ridotta alla miseria.

Oggi, oltre all’epidemia di ebola, la Repubblica Democratica del Congo — che ha più del cinquanta per cento di cattolici e oltre duecento gruppi etnici — è teatro della maggiore crisi di profughi in Africa. Nello scacchiere cresce inoltre il radicalismo islamista, rappresentato dal gruppo ribelle delle Forze Democratiche Alleate (Adf), una milizia salafita di origine ugandese che è legata alla Provincia dell’Africa centrale dello stato islamico (Iscap).

Dopo l’indipendenza dal Belgio nel 1960 e l’assassinio di Patrice Lumumba, nel 1965 prese il potere Mobutu Sese Seko, per 32 anni alla guida del Paese, finché nel 1997 Laurent-Désiré Kabila lo costrinse all’esilio, proclamandosi presidente. Il Paese fu attraversato da numerose violenze. Alla morte di Laurent-Désiré Kabila, nel 2001, gli succedette il figlio, Joseph Kabila, rimasto in carica fino al 2018, anno in cui le elezioni hanno visto l’affermazione di Felix Tshisekedi. In un difficile processo di pacificazione la Missione di stabilizzazione dell’Onu nella Rdc (Monusco) è subentrata nel 2010 alla Monuc, istituita nel 1999. Il mandato prevede di utilizzare tutti i mezzi necessari per proteggere i civili e il personale umanitario.

Tuttavia, per capire a fondo le radici della conflittualità nella Repubblica Democratica del Congo occorre guardare alla situazione regionale nella quale il Paese è inserito, un’area dove fra il 1998 e il 2002 si scontrarono una decina di nazioni africane in quella che fu definita “la prima guerra mondiale africana”, provocando 5 milioni di morti. Gli esiti dello scontro tra hutu e tutsi, deflagrato nel genocidio ruandese dell’aprile del 1994, che causò circa 800 mila morti, sono all’origine di questa conflittualità non ancora sopita. Le cause del genocidio furono molteplici; tra queste le tensioni interetniche, alimentate anche dalle precedenti potenze coloniali.

di Alicia Lopes Araújo