«La signorina Crovato» di Luciana Boccardi

L’approdo

 L’approdo  QUO-047
26 febbraio 2021

Venezia, 1936. Nella città vivace e frizzante di botteghe, vive la piccola Luciana di tre anni e mezzo. Con lei la madre e il padre Raoul, clarinettista-zingaro “bolscevico” ateo e antifascista. Improvvisamente, però, la “disgrazia”: l’uomo è coinvolto in un gravissimo incidente (un incendio sul posto di lavoro minaccia di fare vittime innocenti e Raoul non esita a buttarsi tra le fiamme). Il risultato è l’impossibilità definitiva e assoluta di provvedere alla famiglia; prima per una lunghissima e dolorosa degenza in ospedale, poi per la cecità sopraggiunta. Mentre tutto ricade sulle spalle della madre, per Luciana è l’inizio di una nuova vita segnata dal dolore e dalla miseria. Eppure mai, nemmeno nei momenti più bui, ci sarà spazio per la disperazione.

Sempre in bilico tra dolore e sorriso, La signorina Crovato (Roma, Fazi 2021, pagine 330, euro 18) di Luciana Boccardi è un libro che si legge tutto d’un fiato. Racconto di formazione tratto da una storia vera, è insieme il ritratto di una città, e la storia di un padre e di una ragazzina, condito dall’irrompere della grande Storia. Del fascismo che sconvolge quel quotidiano già così compromesso.

Intuendo la donna che diverrà (giornalista, studiosa di moda e costume), seguiamo la piccola Luciana mentre procede in salita. Non è solo la mancanza letterale del pane: all’inizio, infatti, la bambina si ritrova improvvisamente senza famiglia, affetti o certezze. Con il padre immobilizzato e la madre costantemente al suo capezzale, Luciana viene sballottata tra mille case e contesti, imparando presto il gusto amarissimo della compassione. «Meglio morto» è il commento dei più; gli sguardi pietosi, i «poverina» a ogni fine frase, e ancora le offese, il disprezzo per la sua povertà, il senso di abbandono, il dolore profondo di essere bollata come la figlia del cieco. «Non sapevo davvero più chi fossi e dove fossi, o con chi».

Luciana le attraversa tutte, con pazienza, senza mai perdere la gioia di vivere, l’energia e la grande curiosità. Nel frattempo, impara tanti mestieri. Affidata a una famiglia contadina, si ritrova a governare le bestie, dormendo in una cesta per i tacchini («Non venivo coinvolta tanto per passare il tempo: ero chiamata a fare quello che potevo, nel rispetto di quella filosofia contadina in cui ogni azione è mirata, ogni attimo è importante»); poi sarà apprendista parrucchiera, garzone di panetteria, aiuto di un grossista di spazzole, ricamatrice di borsette, damina di compagnia per alcune ricche coetanee e commessa. Intanto studia (con l’aiuto dell’amato nonno), raccoglie le avventure paterne e di notte si esercita come dattilografa. Perché La signorina Crovato è anche una storia di riscatto e redenzione sociale attraverso il lavoro. «Una delle cose che mi piacevano, del mio nuovo lavoro, era che tutti mi trattavano con rispetto. Il principale, il magazziniere, il perito dell’assicurazione — tutti mi chiamavano “signorina Crovato”. Era un attestato di stima che mi rendeva molto orgogliosa».

Ma il libro, come dicevamo, è anche la storia di una figlia e di suo padre. Degli anni segnati dalla convivenza con un uomo che il mondo vorrebbe distrutto e spacciato. Un uomo che ha profondi e lunghi momenti di sconforto, che scivola sempre più giù sopraffatto dall’alcool e dall’autocommiserazione. «Era quel suo parlare biascicato, erano le sciocchezze che diceva — lui, il più intelligente degli uomini che avessi mai conosciuto, l’ardito, il coraggioso, l’eroe. L’uomo senza paura che un tempo sfidava ogni avversità, fiero, indipendente, orgoglioso e che ora non trovava più la strada di casa neppure con il bastone».

Eppure, nonostante tutto, agli occhi di Luciana il padre resta «l’approdo, il porto sicuro (…). Era l’unico in cui credevo: era la forza della sua intelligenza che, ai miei occhi, lo rendeva un eroe».

Sospeso tra finzione e realtà, dominato dalla musica che accompagna ogni passo della famiglia, La signorina Crovato è la storia di un’infanzia difficile, sofferta eppure ricca di resistenza e amore. È la storia del calore nelle avversità capace di scaldare una vita intera. «Fu questione di attimi. Mi staccai dalla mamma e gli corsi incontro, lui a sua volta fece il gesto di accogliermi tra le braccia, scoppiando in un singhiozzo che ricordo ancora».

di Silvia Gusmano