«A cosa serve la storia dell’arte»

Il critico
e la buccia del frutto

Vincent van Gogh, «Notte stellata» (1889)
25 febbraio 2021

Sono numerosi gli interrogativi che scandiscono il libro di Luca Nannipieri A cosa serve la storia dell’arte (Milano, Skira, 2020, pagine 217, euro 19). Qual è il compito dello storico dell’arte? Perché si conservano i manufatti e le opere? Che cosa muove le comunità e i popoli quando preservano o distruggono i simboli e le testimonianze ricevuti dal passato? Nel cercare di dare risposte esaustive l’autore richiama la dimensione etica sottesa ad un universo culturale in cui risulta dominante la responsabilità sociale dello storico e del critico d’arte, il quale, tramite la sua azione di assimilazione e di divulgazione, è chiamato a svolgere un ruolo nevralgico nel processo di crescita e di maturazione della società.

Tende a prestarsi ad una valutazione superficiale l’obiettivo che ispira l’attività dello storico dell’arte, spesso limitata all’azione del giudicare. «Nulla di più sbagliato» ammonisce Nannipieri, secondo cui il critico e storico d’arte deve invece «condizionare, modellare, germinare». In particolare deve essere un «fondatore» di luoghi e di spazi, pubblici o privati, che siano «necessari»: un museo, una gipsoteca, un sito archeologico, un sito monumentale, una sfida architettonica e urbanistica, una biblioteca che prima non c’era e di cui vi era assolutamente bisogno in un paese dove mancava.

«Senza fondare luoghi il critico è come una buccia di un frutto» osserva l’autore. «La buccia la butti nel sacchetto, il critico — scrive — lo butti in quel particolare contenitore sociale di rifiuti che è l’indifferenza».

Nel formulare stimolanti riflessioni sulla missione del critico d’arte, Nannipieri mette a confronto il suo pensiero non solo con i classici punti di riferimento della disciplina, da Winckelmann a Panofsky, da Berenson a Wolfflin, ma anche con i direttori di alcuni dei più autorevoli musei italiani ed europei, nel segno di un costruttivo dialogo che annovera tra le priorità un’oculata meditazione sul valore intrinseco del patrimonio artistico costantemente incalzato da insidie e minacce. A tale proposito l’autore si chiede: perché difendere la bellezza di un monumento o di un luogo? Chi ci obbliga? Che cosa ci obbliga? «Molti legislatori, amministratori, funzionari — rileva Nannipieri — danno per assodato che cosa sia il patrimonio, sia esso il duomo di Milano o un borgo dell’Alsazia. In verità la nostra riflessione non può dare per assodato nulla. Anzi, sarà tanto più profonda quanto più interrogheremo il senso che soggiace alla parola “patrimonio”, quanto più metteremo a fuoco e la inseriremo nell’orizzonte più vasto della nostra vita».

L’autore constata che sempre più persone sono indifferenti di fronte alla bellezza, al punto da non provare sdegno di fronte a ciò che la devasta. Si comprende di conseguenza che la questione di fondo non riguarda la salvaguardia del patrimonio artistico, ma investe la dimensione educativa e morale. Quando si parla di soldi anziché sull’educazione in merito alla tutela di un monumento, «provo una profonda amarezza» sottolinea Nannipieri, perché «il grande problema viene scalzato dalla piccola discussione». Invece dell’essenza, si discute dei tecnicismi e dei regolamenti. «I soldi sono necessari perché generano lavoro, ma lo sono soltanto nella consapevolezza di qual sia l’essenza, di quale sia il nodo fondamentale», evidenzia l’autore che cita un’illuminante frase del filosofo francese Emmanuel Mounier: «Se non vi è niente di costante nell’uomo, niente di irriducibile, niente di sacro, dove passerà e chi dirà qual è la frontiera dell’inumano?».

Nannipieri pone poi un forte e gusto accento sul fatto che le cosiddette “bellezze minori” sono quelle più esposte al degrado e all’incuranza e, paradossalmente, sono quelle «dove possiamo rintracciare un senso ultimo di comunità, introvabile altrove». Attorno ai monumenti che non sono riconosciuti come bene per un’ampia collettività e non attraggono l’interesse dei turisti e delle amministrazioni, molo spesso so crea una comunità di persone che, non volendosi rassegnare al fatto che il loro monumento sia destinato alla cancellazione e all’oblio, si impegna affinché quella bellezza, per loro così centrale, non venga perduta nel tempo. «È mia convinzione — dichiara Nannipieri — che queste comunità sono oggettivamente quanto di più stimolante la società contemporanea mostri in questi tempi attorno al patrimonio».

di Gabriele Nicolò