In dialogo

Che incidenza continua ad avere oggi il concilio Vaticano ii sul movimento ecumenico mondiale e in particolare su quello latinoamericano? Qual è la situazione attuale del cammino interconfessionale tra cattolici ed evangelici nel continente del Papa? È importante rileggere alcune riflessioni di teologi riformati conciliari alla luce della crescita delle Chiese evangeliche in quel continente? In questo breve articolo, come presbitero protestante, cercherò di riflettere su tali interrogativi alla luce del libro Gespräche (K. Barth, 1964-1968, E. Busch, Zürich, Theologischer Verlag, 1997), che contiene una serie di riflessioni, dialoghi, interviste e conversazioni del teologo protestante Karl Barth contemporanee al concilio Vaticano ii. Quei documenti, che quando uscirono suscitarono clamore e persino controversie, oggi possono apparire profetici e di grande aiuto per rileggere e riorientare il ruolo dell’ecumenismo a partire da una prospettiva riformata nel “nuovo continente” o nel “continente della speranza”.
Possiamo dire — anche a rischio di semplificare troppo — che l’ecumenismo latinoamericano, in questi ultimi tempi, ha dato vita a due movimenti in costante e dinamica tensione. Da un lato, troviamo il lavoro delle Chiese riconosciute come “figlie dirette della riforma europea” che, in armonia con il Consiglio mondiale delle Chiese, hanno elaborato nel continente una dialettica e una prassi in sintonia con lo sguardo ecumenico del pontificato di Francesco. Barth, che non aveva potuto assistere come osservatore ufficiale al concilio per motivi di salute, ma aveva comunque seguito il suo svolgimento, in uno dei suoi documenti rifletté definendolo «un movimento inquietantemente forte. Sì, dico inquietante; ma potrei anche dire un movimento meravigliosamente forte […] volto alla parola del Vangelo». Allo stesso modo, nell’auspicare che il Consiglio ecumenico delle Chiese «potesse parlare come ha parlato Paolo
Dall’altro lato, attualmente alcune Chiese evangeliche, in genere non ecumeniche, hanno scorto un’opportunità politica per concordare agende comuni su temi morali affini, in una sorta di ecumenismo senz’altro innovativo, ma più vicino a una cobelligeranza religiosa. Pur non escludendola direttamente, speriamo nel kairos della storia ecumenica latinoamericana che queste unioni in apparenza circostanziali rimuovano il dannoso concetto della competenza tradotta in proselitismo religioso. Appare allora fondamentale recuperare il documento di Barth, dove profeticamente affermò che «i cattolici devono essere buoni cattolici e gli evangelici buoni evangelici […] tutti partendo dallo stesso punto e perseguendo la stessa meta che è Gesù Cristo […] anelando e uscendo lentamente dall’illusione della divisione». È necessario riconoscere che tali principi di teologia morale, in base ai quali queste Chiese evangeliche hanno riscoperto quella cattolica come sorella lungo il cammino, non hanno avuto un’eco nella maggior parte delle altre. Pertanto la categorizzazione di questi due movimenti in tensione non si realizza a partire da uno sguardo valutativo né critico, bensì obiettivo e descrittivo.
Il concilio Vaticano
Il teologo protestante più influente del
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