Il protagonista, un homeless, è riuscito a nascere una seconda volta

Tutto è grazia

 Tutto è grazia  QUO-044
23 febbraio 2021

«Quando sono nato, mercoledì 9 gennaio alle ore 18, faceva freddo. Tanto freddo. Era una brutta giornata invernale, come tante». È l’incipit del libro Non gettiamo questa vita. Dietro la copertina c’è scritto 2010, accanto al nome della Casa editrice, CentoAutori, ma è un testo più nuovo adesso di quando è uscito. Per alcune opere il tempo corre alla rovescia. «È un libro-Benjamin Button — scrive un lettore in un forum di discussione — perché non è (solo) un libro»; è anche un motore — mobile, mobilissimo, tutt’ora con la marcia ingranata — di incontri, iniziative, gesti concreti di carità. Sono pagine che contengono storie grandi o piccolissime, sconcertanti e commoventi, a volte inverosimili, larger than life, fuori scala, strane ed eccessive come solo la realtà autentica riesce ad essere, battendo ai punti qualsiasi copione di serie tv, anche i più spericolatamente fantasiosi. Pagine che contengono tanta vita, capaci di generare altra vita, altre trame di rapporti, altre iniziative di condivisione e carità all’opera, in un contagio di bene che si è diffuso da un lettore all’altro. Pagine capaci di generare anche altri libri, per condividere ad ampio raggio quello che si è vissuto, e lasciare ai più piccoli (in senso anagrafico e non) esempi luminosi di speranza in azione, per renderli in grado di affrontare senza paura qualsiasi inverno. E capaci di finanziare progetti, reti sociali, iniziative e attività di affiancamento, nuove forme di aiuto sul campo, grazie ai proventi delle copie vendute.

«Si può nascere una seconda volta? — scrive Marco Perillo recensendo del libro — si può riscattare una vita che sembra ormai persa, quando si è senza dimora, senza famiglia, senza più passato né futuro? Mosè, l’homeless napoletano protagonista di Non gettiamo questa vita di Annamaria Gargiulo, ce l’ha fatta. Ed è riuscito grazie al lavoro e alle attenzioni di una casa-albergo, strutture per il recupero di anziani, poveri, ragazzi senza genitori né parenti. Quella di Mosè (il suo vero nome è Gennaro) è una storia vera e l’autrice — laureata in scienze del servizio sociale e insignita del premio Arturo Esposito per il settore della solidarietà — l’ha conosciuto per davvero essendo la direttrice di una casa-albergo nei pressi di Sorrento. La sua esigenza era testimoniare il lavoro quotidiano fatto di cure mediche, servizio medico e ospitalità . «Vite che non potevano passare inosservate, ma dovevano essere messe su carta». Cronache di battaglie quotidiane fatte di piccole e grandi sfide, in perenne lotta con il budget e la burocrazia onnipresente, con la consapevolezza di essere in un luogo in cui «anche i pannoloni sono contati».

Chi scrive ha conosciuto per la prima volta l’autrice un pomeriggio ventoso di gennaio di qualche anno fa, in incognito in quanto vestita da Befana, serissimamente impegnata a dispensare calze e dolciumi, circondata da una folla di bambini emozionati e felici incerti se farsi avanti a chiedere regali o guardare con adorazione muta questa strana dispensatrice di doni apparentemente decrepita ma stranamente vivace, dalla voce giovane e dalla risata contagiosa.

L’autrice del libro è Annamaria Gargiulo, due lauree e tanta competenza nel campo del management sanitario, nascosta accuratamente dietro la calda, cordiale accoglienza tipica delle “supermamme” campane e abilmente dissimulata dietro la passione per la cucina condivisa “live”, con i tanti ospiti, nella sua casa di famiglia o via social (imperdibile la ricetta, pubblicata anche su Youtube, degli gnocchi alla sorrentina “veraci”, completamente annegati nel pomodoro e nella mozzarella). Imperdibile — ma per altri motivi, più legati alla cronaca recente — anche una lezione riservata ai più piccoli, le istruzioni-base per fare in fretta dei profumatissimi biscotti al limone, un antidoto alla tristezza in periodo di lock-down.

Per i suoi libri e il suo lavoro sul campo ha ricevuto anche il Premio Penisola Sorrentina e il Capri San Michele, ma si scopre solo cercando il suo nome in internet; ha talmente tanto da fare, Annamaria, nel seguire le sue mille attività on the road che di tempo per riposare sugli allori proprio non ce n’è. Leggere il bene fa bene, ma le ragioni del successo del libro sono ancora più profonde, affondano le loro radici nella cultura di un popolo che non ha mai censurato la malattia e il limite, per cui un essere umano non è mai “trasparente”, è sempre degno (perlomeno) di attenzione. La citazione posta in esergo — un frammento del retore Temistio, amico di Plutarco, in cui si parla del momento della morte — fa capire molte cose, dev’essere letta con attenzione, non è una decorazione dotta. Siamo fratelli tutti (per citare il titolo dell’ultima enciclica del Papa) davanti al mistero al mistero della morte, come anche davanti al mistero della nascita. Come nel film della Pixar Soul, uscito da poco, nessuno si salva da solo; nessuno può capire il suo valore e il suo insostituibile posto nel mondo da solo. “Siamo” relazione, la vita sociale non è un optional, ovvero esistiamo di più se ci lasciamo raggiungere dall’attenzione, dalla cura, dallo sguardo degli altri. Il problema, chiosa l’autrice nell’introduzione al libro, è che «Nessuno vuole un maestro di questi tempi. Non va di moda. Tanto meno un padre e una madre che ti educhino. Ma quando in fondo non è più lui né lei a parlarti ma qualcosa di più antico e di più profondo, quasi di ancestrale, una voce fievole che non muore mai, stagione dopo stagione, anno dopo anno, generazione dopo generazione, una voce che si sforza di raccontarti a parole che esisteva prima ancora delle persone, che esiste tuttora, qualcosa che non è lui né io, ma la vita che passa indecifrabilmente con il suo carico di interrogativi, delusioni e speranze, ecco che ti fermi per un istante».

Da un volto anonimo, solcato di rughe, segnato dalla malattia, affiorano storie, ricordi, stralci di vita vissuta, desideri ancora vivi e vegeti. «Ed emergono dal buio mio padre, tuo padre, mia madre, tua madre — scrive Annamaria rivolgendosi direttamente al lettore — o qualcuno che si ama e si amerà per sempre; piccole anime, insieme, a condividere questa strana esperienza di stare per un po’, anche solo qualche istante, nella luce. Ecco, pensando a quegli attimi di vita che fugge, a quella luce, inesorabile mistero tra vita e morte, ho voluto fissare nella memoria per mio figlio, per tutti quelli che ho amato come mio padre e che amo, un’esperienza di vita vissuta tra gli anziani, aspettando insieme, l’ultima corsa, raccogliendo delle vite». A volte tristi, a volte luminose, «come un grande libro che ride».

di Silvia Guidi