«Nonna perde le parole» di Rémi David e Rémi Saillard

Scrivere per non urlare

 Scrivere  per non urlare  QUO-044
23 febbraio 2021

«Urlo. Sul ponte dove la nonna porta me e mio fratello Leo a lanciare aerei di carta, io urlo. Molto forte. Urlo perché ho paura. Molta paura». Inizia così il racconto del piccolo protagonista di Nonna perde le parole (Milano, Jaca Book 2021, pagine 32, euro 21, traduzione di Laura Molinari e Vera Minazzi), una storia importante che tratta con grande delicatezza la malattia e, più in generale, la fragilità umana.

Capitano episodi tristi, episodi che al piccolo protagonista proprio non piacciono: ogni tanto, senza preavviso, succede che l’amata nonna perda le parole. Per colpa della sua malattia, è pressocché certo che con il tempo le cose andranno peggio: la nonna, probabilmente, non riuscirà più proprio a parlare. Il nipotino è terrorizzato e così, ogni volta che succede, si mette a urlare a squarciagola. Urla la sua disperazione, la sua paura e la sua impotenza. Perché ciò che all’inizio lo fa stare davvero male è l’idea di non poter aiutarla a ritrovarle. E nemmeno le sagge rassicurazioni del fratello maggiore servono a molto. Un giorno, però, un incontro mette in moto qualcosa di inaspettato: e se nulla potrà impedire alla malattia di fare il suo corso, il nipotino però sarà in grado di dare, in qualche modo, il suo contributo per contrastarla.

È dunque un messaggio costruttivo quello presentato dal libro di Rémi David e Rémi Saillard. Al primo si debbono i testi («Mi sono immaginato — spiega in calce al libro, rivolgendosi direttamente al giovanissimo lettore — ciò che come scrittore mi avrebbe fatto così tanta paura. Al punto di urlare a squarciagola. Ma ancora di più, di farmi perdere le parole, al punto da non poter più giocare con loro né di usarle per costruire una storia»); al secondo le illustrazioni («L’urlo con questo personaggio chewing-gum, l’angoscia che trasmette, i suoi colori vivi, fa parte dell’immaginario collettivo. […] La storia, molto forte, è un quasi-monologo che si svolge su un ponte. Per non rinchiudere il lettore in uno scenario monotono, avevo bisogno di coinvolgerlo. Ho moltiplicato i punti di vista, le inquadrature»).

Come è emerso, Nonna perde le parole è ispirato a L’urlo (1893), il dipinto del pittore norvegese Edvard Munch oggi alla Galleria nazionale di Oslo. Le tavole si intrecciano con garbo alla storia lasciando spazio alle emozioni, e soprattutto al colore e alla speranza che alla fine hanno la meglio sulla paura.

Il libro è uno degli ultimi usciti nella nutrita e fortunata collana «Ponte delle Arti» che Jaca Book pubblica dal 2014, riprendendola — con adattamenti per il pubblico italiano — dall’editore francese L’Élan vert. Lo scopo della serie non è quello di spiegare l’arte, ma piuttosto di entrare nell’arte, suggerendo ai piccoli lettori percorsi di avvicinamento a un’opera o a un autore. Come ha spiegato Vera Minazzi — uno degli editori di Jaca Book a Giulia Galeotti nel corso di un’intervista uscita su questo giornale — «Ponte delle Arti» è una collana con «una narrazione autonoma: l’idea che si possa spiegare l’arte ai bambini non ha senso, invece in questo modo c’è un’autonomia fantastica che però si ispira all’artista». Ogni volta è solo alla fine della storia che l’opera (un quadro, un edificio o una scultura) viene presentata. Un’altra particolarità di questi libri è che nell’ultima pagina ci sono aneddoti e spiegazioni non solo sull’opera o l’artista, ma anche sull’illustratore e l’autore; viene così svelato — in una sorta di storia nella storia — perché in relazione a una certa opera è venuta in mente quella storia o quella illustrazione. E se la collana francese accanto al titolo mette l’artista, Jaca Book invece segue una diversa grafica: in alto c’è il titolo del libro (con i nomi degli autori) mentre in basso, staccato, è indicato l’artista. «Così — spiega ancora Minazzi — è immediato che si tratta di una lettura autonoma. (…) Immagino che, come avviene per tutte le nostre esperienze, ci siano dei sedimenti che rimarranno nel bambino: delle tracce affettive, fonetiche, estetiche ed emozionali che lo formeranno». Sedimenti che in Nonna perde le parole si fanno preziosi. Quello che viene suggerito nel libro è infatti un metodo per rassicurare il bambino di fronte all’immagine di una malattia dei nonni oggi molto diffusa.

«Per essere sicuro di ritrovare facilmente le parole di nonna tutte le volte che le perde e se ne vanno via per prendere una boccata d’aria — conclude il piccolo protagonista — ho iniziato ad annotarle su un foglio (…). Questo mi rassicura. E voi sapete una cosa? Da quando mi sono messo a scrivere non urlo più».

di Silvia Gusmano