«Nessuno escluso» di Christian Tasso, fotografo da sempre attento alla fragilità umana

Inaspettata bellezza

Narok, Kenya, 2017. «Siamo una grande famiglia, e da noi c’è spazio per tutti. Certo, la vita nella savana è difficile, i tanti cambiamenti degli ultimi tempi ci spingono a modificare radicalmente il nostro stile di vita. Ma insieme ce la faremo» (©Christian Tasso)
23 febbraio 2021

Un tracciato alla scoperta di un mondo che non ha divisioni


«Se nel 2014 l’idea di partenza era quella di focalizzare l’obiettivo nel mondo alla ricerca di storie di persone con disabilità, lungo il percorso è accaduto che in questa serie di opere trovassi un’inaspettata bellezza attraverso decine di storie». È interessante scoprire come cambino le prospettive quando si incontrano le persone. Lo ha sperimentato, come da lui stesso raccontato, Christian Tasso, fotografo da sempre attento alle tematiche sociali, durante un progetto diventato ora un libro, Nessuno escluso (Roma, Contrasto, 2020, pagine 160, euro 29), che già dal titolo esplicita il contenuto. Il suo era nato come un viaggio attraverso diversi continenti per raccontare la disabilità, ma alla fine questa non ha avuto un ruolo preminente, almeno non come lo aveva inteso all’inizio. «Piuttosto — spiega Tasso — è stato un segno, un percorso da seguire, un tracciato alla scoperta di un mondo che non ha divisioni, che non è in conflitto con se stesso e che non vede due universi, il “loro” e il “nostro”».

Dunque, quella citata all’inizio dall’autore è una bellezza diversa, nel senso che non è da intendersi «come puro fatto estetico, rigido costrutto culturale o come esempio di matematica perfezione». No, Tasso chiarisce che nessuna di queste letture è applicabile alle sue foto. «La bellezza che ho cercato e che propongo — precisa — si compone di imperfezione, come elemento caratterizzante l’unicità di un soggetto; di armonia, quale spazio di congiunzione fra l’uomo e il suo mondo». Quelli fermati dal fotografo sono attimi di vita condivisa; una realtà in cui non c’è differenza tra i cosiddetti normali e quanti sono segnati da una qualche malattia invalidante. Perché le persone incontrate e fotografate avevano tutte una storia di integrazione e di accoglienza nella comunità.

Nessuno escluso è il frutto di un progetto artistico avviato nel 2009, che nel suo sviluppo è divenuto la rappresentazione della disabilità spogliata da ogni stereotipo e proposta come risorsa. In un mondo in cui il 15 per cento della popolazione è composta da persone che vivono con una disabilità, l’obiettivo delle foto è quello di presentare le storie emblematiche di alcuni di loro sotto una luce nuova, non nascondendo le difficoltà da affrontare ogni giorno anche in contesti sociali estremamente difficili, ma puntando soprattutto sulla loro capacità di inserirsi nella società nonostante tutto.

Eccoci allora in viaggio attraverso Paesi molto diversi tra loro — Italia, Svizzera, Romania, Germania, Irlanda, Albania, Cuba, Ecuador, Mongolia, Nepal, India, Cambogia e Kenya — alla ricerca di uomini e donne che convivono con una disabilità ma come individui attivi, ciascuno con le proprie esperienze e aspirazioni. Persone incluse e valorizzate. Le didascalie delle immagini non indicano i nomi dei soggetti ritratti, ma solo un luogo e una data, perché a contare sono soprattutto le storie. Tasso lascia loro il compito di raccontarsi, in una sorta di appendice. E così a Dadhing Besi, in Nepal, l’uomo ritratto si presenta così: «Insegno economia alla scuola secondaria. Ai miei studenti voglio insegnare l’importanza di saper abbracciare la diversità come risorsa per tutti. Una società inclusiva è migliore per tutti». «Faccio abiti tradizionali — racconta un altro uomo di Belesa, in Etiopia — e lavoro a casa. La gente porta i vestiti e io li aggiusto, poi filo il cotone e lo vendo. Ho una moglie, due figli e una mucca. Mi basta per essere un uomo realizzato».

Ad altri sono sufficienti pochissime parole per descriversi. Come al pescatore cubano, che dice semplicemente: «Ogni giorno vado in mare». Sembrerebbe già tanto, ma c’è dell’altro. Tasso aveva in mente un pescatore che richiamasse il protagonista de Il vecchio e il Mare di Hemingway. «L’ho incontrato a Manzanillo — spiega —: insegna a pescare ai giovani del villaggio; è un faro in mezzo alla tempesta della modernità che avanza sgretolando le radici dell’isola». E che gli manchi una parte del braccio non sembra contare granché. Semmai a colpire è lo sguardo fiero, puntato diritto nell’obiettivo.

Ma non è il solo a farlo. Infatti, ciò che colpisce in molti scatti sono proprio quegli occhi rivolti a chi osserva. La persona ripresa sembra dire «guardami, ecco, questo sono io. Qui, ora», sottolinea nell’introduzione al volume Alessandra Mauro, che aggiunge: «Più che singoli ritratti, queste fotografie testimoniano relazioni. Ognuna, infatti, certifica quale sia il rapporto indissolubile che un individuo, qualsiasi individuo, anche chi vive con una disabilità, intrattiene con il suo gruppo di appartenenza, sia questo un nucleo familiare, una coppia che da tempo condivide la vita o addirittura un’intera comunità».

A risaltare è il modo in cui viene rappresentata la disabilità, che diventa solo uno dei molti elementi che costituiscono l’identità del soggetto. In tal senso, uno degli scopi del lavoro del fotografo è quello di accrescere la consapevolezza che la diversità non è un limite ma una ricchezza per le comunità che sanno accoglierla e che, anziché indebolirla, rende più forte la società in grado di valorizzarla. «Questa è una delle risposte che cercavo — annota Tasso —: nei gruppi sociali distanti dai canoni generalizzati dalla globalizzazione, la visione è totalmente diversa. Nei villaggi rurali, il confine tra cosa sia considerato “normale” e cosa non lo sia si assottiglia perdendo di significato». Non è sempre così, purtroppo, perché in alcuni casi si è alla violazione dei diritti umani. «Ma — precisa — io cercavo storie positive perché al mondo servono esempi da prendere come riferimento».

Ciò che giunge dalle persone ritratte è, dunque, una richiesta precisa: quella di guardarli. «Ma — conclude Mauro — attenzione: ci chiedono di farlo con lo stesso sguardo partecipe e attento, preciso e delicato di Christian Tasso». Non è una richiesta da poco. Ma fa tutta la differenza del mondo.

di Gaetano Vallini