John Keats due secoli dopo

Energia morbida

 Energia   QUO-043
22 febbraio 2021

È l’angolo più appartato e silenzioso del cimitero acattolico di Roma, quello più distante dall’ingresso, vegliato dalla serenità marmorea della Piramide Cestia dove, di quando in quando, sulla cima, un gabbiano si posa e distrattamente guarda verso terra. Sicuramente i suoi occhi allenati alle minuzie, si saranno posati su una lapide ingrigita dal tempo dove una scrittura in corsivo recita: «Qui giace un uomo il cui nome fu scritto sull’acqua».

Casta e umile, secondo san Francesco, ma visitata agli inizi dallo spirito di Dio, l’acqua ha da sempre a che fare con la poesia per cui non poteva cancellare il nome di un poeta come John Keats che ancora oggi esattamente a duecento anni dal giorno della sua morte a Roma si conserva nella mente non solo dei letterati ma anche di chi in un suo verso continua a cercare conforto, consolazione, complicità per una dichiarazione d’amore. Ma c’è anche chi lo ricorda, Keats, al centro di Bright Star, un film recente ispirato alla sua vicenda umana, brevissima, consumatasi nel giro di neanche ventisei primavere.

La caratteristica fondamentale della poesia di Keats è nel suo equilibrio tra effusione di intensità romantica e nitore classico della forma, della costruzione del verso, ma anche nella capacità di muoversi tra antitesi concettuali lasciandone scaturire un’energia morbida e permanente. Amante del medioevo corrusco e misterioso ma attratto dalla purezza della grecità, abile a scendere nei meandri del desiderio ma aperto alla realtà e allo splendore del creato, innovatore profondo nel lessico poetico ma seguace di forme classiche come l’ode e il sonetto, Keats è profondamente convinto della propria vocazione poetica, una missione da praticare nel continuo esercizio che comporta rinunce e una sorta di ascesi nel confronto con la propria anima, assetata di sensazioni, sulle quali lavora come un certosino per trasformarle in poesia.

A differenza di altri poeti della sua generazione, Keats non si ferma alla seduzione estetica dell’oggetto ma prova a renderlo in maniera nuova, convinto che il compito della poesia si debba giocare nel reale da inquadrare e restituire allo sguardo come altre arti non possono fare, trasportandolo sul piano dell’eternità.

Esemplare è la sua Ode Su Un’Urna Greca, oggetto portatore di simboli e impressioni di smisurata profondità storica che mentre viene cantato resta remoto nella millenaria distanza eppure viene dotato da Keats di una forza di realtà che racconta e giustifica la sensazione di una bellezza superiore, di un dono offerto per sempre da quella civiltà. Non l’illusione di un’ebbrezza ma segno di un’esperienza che spetta alla poesia rinnovare agli occhi dei contemporanei.

Accanto alla classicità il medioevo Belle Dame Sans Merci, la ballata, messa in musica nel 1977 da Angelo Branduardi, racconta dell’incontro fatale di un cavaliere con una donna misteriosa che attirandolo a sé gli ruba per sempre l’anima costringendo il suo spirito a vagare senza dimora nel paesaggio di un’eternità tetra e angosciosa in cui come il coro di una tragedia greca compaiono improvvisamente miriadi di anime che ne confermano il destino. Amore e morte secondo una classica dicotomia romantica, ma Keats aggiunge particolari anche in questo caso di nuda intensità: il volto pallido, le dita gelide e ancora una volta trasmette alle immagini quella che i contemporanei Wordsworth e Coleridge, padri del romanticismo britannico, definirono qualche decennio prima come «l’intima consistenza della realtà»: il sigillo della buona riuscita della poesia, questa perpetua oscillazione tra la resa tangibile di un’impressione soprannaturale e la proiezione del quotidiano in una dimensione simbolica e superiore.

Lui, Keats, innamorato della Luna cui dedica il suo acerbo poema giovanile Endimione, proverà per tutta la vita a compierlo questo compito, alzando lo sguardo nonostante il male che ne fiaccherà il corpo, donando i suoi anni alla poesia come un amante notturno che sa che un destino di separazione lo attende all’alba ma in quella notte confida all’amata tutti i suoi segreti, tutto il desiderio di condividere la bellezza che come ha lasciato scritto «è una gioia per sempre».

di Saverio Simonelli