Punti di resistenza
Storie e testimonianze tra sofferenza e speranza

Eroine in nome della libertà

 Eroine in nome della libertà   QUO-042
20 febbraio 2021

«Le guerre delle donne» di Emanuela Zuccalà


Hanno combattuto guerre diverse, ma in realtà la guerra è una sola perché unico, e ben identificabile, è il motivo che le ha scatenate: la difesa della propria dignità, della propria libertà, del proprio ruolo nella società. E raccontando le inquietanti dinamiche che caratterizzano questo scenario Emanuela Zuccalà nel libro Le guerre delle donne (Formigine, Infinito Edizioni, 2021, pagine 253, euro 15), formula una potente e illuminante denuncia contro un mondo che alla donna continua a infliggere il peso di ingiustizie, soprusi e angherie. «La violenza contro le donne — scrive nella prefazione la senatrice Emma Bonino — è un ostacolo enorme nel raggiungimento di pace, sicurezza e benessere comuni, e la strada per cambiare realmente e concretamente la vita di donne e ragazze è ancora tutta in salita. La violenza sulle donne, a gradi differenti, è presente in ogni cultura e in ogni continente. Ha radici profonde nella storia, nella tradizione e nella religione, e queste radici nascono nelle società patriarcali e prosperano nella disuguaglianza fra uomini e donne, dove la donna — sottolinea la Bonino — diventa merce e proprietà dell’uomo».

Nella postfazione, la giornalista Renata Ferri tiene a precisare che l’autrice non è solo giornalista e scrittrice, ma è anche e soprattutto «testimone» e, in quanto tale, «affronta con coraggio e determinazione ogni esperienza che vuole raccontare». Anche superando «divieti e ostacoli», senza temere «mentre esplora gli angoli del mondo». Quelli narrati da Emanuela Zuccalà sono racconti intimi, autentici, scanditi sottovoce. Talvolta assumono il profilo della confidenza. Potrebbero sembrare storie di ordinaria difficoltà, «ma ecco che — rileva la Ferri — in poche righe esplode la tragedia, come il colpo di un cecchino che fredda la sorella di Nuura davanti ai suoi occhi».

L’autrice scrive che è stato avvincente concentrarsi su queste guerre femminili «in un periodo in cui vediamo sempre più donne in prima linea per tentare di cambiare il mondo». «Penso — evidenzia — alle protagoniste delle rivolte contro il dittatore bielorusso Lukashenko, nell’estate del 2020, schierate con altre migliaia di donne che, in un Paese privo di libertà, manifestano di bianco brandendo fiori e palloncini». Spicca quindi la figura giovane e regale di Alaa Salah in Sudan che, pure lei in abito bianco, guida i canti nelle proteste contro il presidente Omar al-Bashir, destituito nell’aprile del 2019, al termine di un trentennio di potere assoluto. Le donne si sono mobilitate anche in Yemen contro il presidente Saleh e una di loro, Tawakkol Karman, ha vinto il Nobel per la pace. Non meno significativo è il ruolo svolto dalle donne algerine che hanno animato il dissenso contro il fino ad allora irremovibile presidente Bouteflika, costretto a ritirarsi nel 2019. In questa scenario si staglia poi la figura di Nadia Murad, irachena yazida: da schiava di Is è diventata la prima ambasciatrice Onu per i sopravvissuti alla tratta di esseri umani, fino al Nobel per la pace nel 2018.

La lista continua, ma già alcune delle voci citate rende esemplare testimonianza di una realtà che coniuga buio e luce, sofferenza e speranza. Sicuramente è una lista che racchiude un patrimonio di dolore.

Scrive l’autrice: «È un libro doloroso, per me che l’ho scritto, forse lo sarà anche per voi che state per leggerlo. Posso solo assicurarvi che è un dolore inondato di luce: la vedrete brillare negli sguardi implacabili di donne che combattono, che si riappropriano della loro dignità e della loro vita, che aiutano altre donne ad uscire dal personaggio di vittima per entrare in quello di protagonista».

Il rischio in cui poteva incorrere la Zuccalà era quello di ornare queste storie crude con orpelli retorici e di avvolgerle con il manto del sentimentalismo. Rischio che è stato egregiamente scongiurato. Fedele al suo magistero di cronista vecchio stampo, la Zuccalà riporta i fatti senza cedere a tentazioni romanzesche, in questo praticando non solo la giusta osservanza delle regole auree del vero giornalismo, per cui sono i fatti che parlano, e basta; ma anche dimostrando il pieno e sincero rispetto per le protagoniste di tali storie, che certo non hanno bisogno di svenevoli smancerie.

Nel combattere ciascuna la propria guerra, queste donne hanno fatto guizzare una scintilla di eroismo, che consiste nell’aver osato dire no a «qualcosa — scrive l’autrice — che rientra in quella subalternità femminile che va sradicata in nome dei diritti dell’umanità intera».

Merime, Jay, Angela, Solange, Erbenia e le altre sono entrate in guerra contro la violenza, la morte sociale che le stava annientando dopo uno stupro, la mentalità arretrata del loro contesto, destini di sfruttamento che parevano già scritti. «Nelle loro guerre — sottolinea la Zuccalà — diventano autrici di gesti eroici, alcuni minimali e altri immensi, privati oppure ampiamente comunitari, ma sempre attuati con una caparbietà e una coerenza che, ai miei occhi, rendono i loro vissuti speciali e di profonda ispirazione».

di Gabriele Nicolò