Donne e uomini nella Chiesa/13
Le diversità implicano identica dignità di tutti i credenti

Battesimo e sinodalità

Denis Sarazhin, «Wind» (2014)
20 febbraio 2021

La sinodalità, come comunione e cammino del popolo di Dio, vive e si alimenta delle diversità, grazie alle quali i doni propri di ciascuno, unici e insostituibili, si offrono come un arricchimento dell’intera comunità ecclesiale. Il nodo cruciale di quest’affermazione, tuttavia, consiste nel fatto che tali diversità non possono mai essere viste come fonte di disuguaglianze e conseguenti discriminazioni. Le diversità, infatti, nella Chiesa implicano e presuppongono l’identica dignità battesimale di tutti i credenti, indipendentemente dalle appartenenze, dagli stati di vita e dai ruoli e questo vale anche per la fondamentale distinzione tra sacerdozio comune di tutti i battezzati e sacerdozio ministeriale che deve sempre configurarsi come servizio e mai come potere. Tutte queste considerazioni sulle diversità nel cammino sinodale valgono a maggior ragione per quella che, tra esse, è la prima e la più originaria, ovvero la differenza tra le donne e gli uomini, che tocca la stessa struttura costitutiva dell’essere umano. Tanto le donne quanto gli uomini, cioè, partecipano dello stesso sacerdozio comune che abilita a essere testimoni, a evangelizzare e a rendere culto a Dio, ognuno nella propria condizione.

Si pone qui una questione di enorme rilevanza, ovvero quella dell’inclusione sia delle donne sia degli uomini nel percorso sinodale che, evidentemente, non sarebbe più tale se escludesse le battezzate alle quali compete la medesima dignità che compete ai battezzati. D’altra parte, per questa medesima ragione, non è pensabile un’inclusione in forma discriminante di subordinazione perché il battesimo, fonte dell’appartenenza ecclesiale, è lo stesso per entrambi i generi ed è incompatibile con qualsiasi negazione di uguaglianza.

L’esigenza di sinodalità, sulla quale Papa Francesco torna con tanta insistenza, diviene, così, un’occasione preziosa per ripensare il punto a cui nella Chiesa si è giunti per il riconoscimento della dignità di tutti i credenti. Il discorso che si pone non è, in primo luogo, quello dei ruoli e delle funzioni da attribuire alle donne, ma, a monte, quello della reale convinzione che, senza di queste, la Chiesa sarebbe dimezzata e meno credibile per la testimonianza che deve rendere.

Tale questione concernente le donne nella Chiesa si intreccia con altre due che sono distinte, ma strettamente connesse: quella dei laici, da una parte, e quella di una sempre più profonda comprensione della natura del sacerdozio ministeriale, dall’altra. Riguardo ai laici, a partire dal concilio Vaticano ii , è in atto una sempre più chiara rivalutazione (anche se sussistono ancore resistenze) della loro peculiare dignità e della loro insostituibilità, che li configurarono come collaboratori dei pastori e non solo come destinatari di proposte elaborate solamente da questi ultimi.

Per quello che si riferisce, poi, al sacerdozio ministeriale, come si è già accennato inizialmente, diviene ogni giorno più chiaro nella coscienza ecclesiale che esso deve essere liberato da ogni incrostazione di clericalismo che snatura il suo carattere di servizio per il più vasto sacerdozio battesimale di tutti i credenti.

Sia riguardo al tema dei laici che a quello dei ministri ordinati, la presenza delle donne può recare un insostituibile contributo per restituire tanto ai primi, quanto ai secondi la loro reale fisionomia con la quale possono recare il proprio apporto al cammino sinodale di una Chiesa che vuole essere fedele all’originario messaggio del Vangelo.

Sintetizzando, si deve affermare che nella Chiesa la cosiddetta questione femminile non è sollevata per rincorrere schemi e paradigmi del contesto socio-culturale, ma per l’esigenza di non tradire l’annuncio di una comunità di uguali, fondata sul battesimo e in cammino verso la pienezza del Regno.

di Giorgia Salatiello