Una riflessione sul boom delle serie televisive

Banche di senso
fatte di immagini

 Banche di senso fatte di immagini  QUO-042
20 febbraio 2021

Un mutamento è sicuramente in atto da tempo: un genere, inizialmente considerato minore, si è imposto, inaugurando un nuovo modello narrativo. Una rivoluzione vera e propria, nella modalità di consumo, nella struttura drammaturgica, nei contenuti e che sta occupando sempre più spazio nei palinsesti delle reti dedicate. Il dibattito è aperto e si alternano consensi, perplessità, timori, stimolando così una riflessione teorica e critica sul destino del cinema.

Scrive John Truby, docente di sceneggiatura, che il successo e il cambiamento della nuova modalità narrativa in forma seriale possono essere paragonati alla nascita del romanzo nella metà del xvii secolo, all’introduzione del realismo psicologico nella drammaturgia teatrale nel tardo xix secolo, allo sviluppo dei film nei primi anni del ventesimo secolo, all’emergere del videogame come modalità narrativa tra gli anni Ottanta e Novanta. Inoltre, con la forma seriale ogni storia ha diversi personaggi principali con le proprie debolezze, le proprie angosce, i propri desideri che non si risolvono quasi mai alla fine di un episodio e nemmeno dopo quindici.

In termini di storia questo significa che diverse linee narrative si intrecciano nel corso dei molti episodi, ma con loro anche complessi piani morali che danno vita a sfide che coinvolgono lo spettatore.

La domanda è: perché tanto successo di fronte a strutture drammaturgiche nelle quali la dimensione lineare è così discontinua, problematica, tanto che i numerosi intrecci rendono faticoso orientarsi? E perché le giovani generazioni guardano sempre più alle serie come a una sorta di “banca del senso”, un deposito simbolico dal quale attingere comportamenti, stili di vita? (la riflessione si potrebbe allargare sul perché del grande successo degli antieroi, dell’ostentata esposizione che annulla lo stupore… tutto ciò però riguarda anche il film tradizionale).

Rispetto al cinema c’è da dire che non hanno davvero niente da invidiare, sono prodotti di alta qualità e registi e produttori famosi lavorano alle serie: David Lynch, Steven Spielberg, David Fincher, Ridley Scott, J.J. Abrams, Steven Sodebergh.

Edgar Morin offre una possibile chiave di lettura con L’homme immaginaire. «Questo complesso immaginario che al tempo stesso permette e turba le partecipazioni costituisce una secrezione placentaria che ci avvolge e ci nutre. Anche nello stato di veglia anche fuori dello spettacolo l’uomo cammina solitario circondato da una nuvola di immagini dalle sue fantasie (…) la sostanza immaginaria si confonde con la nostra vita d’anima, la nostra realtà affettiva». L’immaginario è l’espressione di un bisogno dell’uomo, del suo desiderio di un luogo libero dalle logiche censorie del pensiero scientista, ma anche utopico dove si possono costruire nuovi rapporti di senso con la realtà. È nel focus immaginarius, infatti, nella parte soggettiva intelligibile più nascosta di noi stessi che si possono costruire rapporti riflessivi con la propria percezione e sviluppare potenzialità critiche che aiutino a immunizzarci dalla manipolazione, dal disorientamento e dalla solitudine.

Le serie, nel bene e nel male, hanno la caratteristica di dar corpo a universi e a situazioni di fantasia dalle infinite possibilità parallele, prolungando il mondo delle illusioni in numerosi episodi e stagioni. Una nuova regione della coscienza nella quale tanto il cinema che le serie ci proiettano, ma con la sola differenza che, in queste ultime, il moltiplicarsi dei personaggi principali rende più facile l’identificazione e il rispecchiamento con almeno uno di loro. Il protrarsi delle storie, la strategica fidelizzazione, favorisce la familiarizzazione e la partecipazione emotiva alle loro vite con le contraddizioni e difficoltà conosciute dallo spettatore.

Ma poiché l’illusione dell’immaginazione non può essere mai solo una menzogna, la serie viene abitata e vissuta come un luogo altro per sottrarsi al fluire degli eventi e rigenerarsi, confrontarsi con il lato oscuro, provare suspense, l’emozionante sensazione dell’attesa che nell’attuale contesto socioculturale è ormai appiattita su un eterno presente.

La serialità, come assemblaggio di frammenti narrativi, sembrerebbe corrispondere allo stato d’animo dell’uomo contemporaneo che vive di contrasti, fluidità, proiettato in un futuro incerto e tutto da reinventare.

di Claudia Caneva