Flannery O’Connor a partire dalla prima biografia in lingua italiana a lei dedicata

Presi a sberle
da un libro

Flannery O’Connor in una foto degli anni Quaranta
19 febbraio 2021

A colloquio con Rossini, autrice del volume


«Mi  è successo quello che la O’Connor voleva capitasse al lettore delle sue storie: mi ha preso a sberle e mi ha costretto a vedere oltre la pagina» dice Fernanda Rossini, insegnante e traduttrice nonché autrice di Flannery O’Connor (Vita, opere, incontri) la prima biografia di Flannery O’Connor in lingua italiana (Milano, Ares edizioni, 2021, pagine 360, euro 17,10). La O’Connor era stata chiara al riguarda: «E per quanto riguarda la mia biografia non ci sarà nessuna biografia, perché una vita trascorsa tra casa e pollaio non interessa a nessuno». Se però, come si piace pensare, lo diceva sperando di esser contraddetta eccola accontentata. Questo imponente e accurato lavoro della Rossini è una biografia che, fra le altre cose, contiene una “notizia”, una informazione che abbiamo spesso dimenticato: Flannery è stata una ragazza.

Vi basterà scorrere le pagine del suo diario che, sotto copertura, etichettò Higher Mathematics per capire di cosa stiamo parlando. Se dell’autrice di Savannah infatti ricordiamo la carriera e il lavoro letterario, la sua tragica e prematura scomparsa ci ha forse distratto dal fatto che, sia pur forzatamente reclusa a causa della malattia, dietro tutti quei pavoni prima c’era una giovinetta. Interrotta purtroppo.

A venticinque anni, quando si accingeva a inserirsi da protagonista sulla scena letteraria, le si presentò un morbo inguaribile, che dopo averle devastato il corpo la ucciderà a soli trentanove anni. La malattia la costringerà all’isolamento nella fattoria di famiglia, persa nella campagna del Sud degli Stati Uniti in piena trasformazione socio-culturale. Ma il suo occhio indagatore vide il cuore malato dell’epoca contemporanea anche da quel remoto angolo di mondo.

E cosa si vede da quel remoto angolo di mondo? Da quella fessura sul limite umano? «Dopo lo sconvolgimento iniziale di fronte a personaggi deformi nel fisico o nella mente, alle loro vite ribaltate, a bambini che muoiono — risponde l’autrice — si è fatta pressante la curiosità di scoprire quale fosse davvero il senso intrinseco di storie costruite e narrate con certosine precisione e cura. Con essa si è fatta impellente anche la necessità di comprendere le motivazioni profondamente personali che avevano mosso la O’Connor a scegliere di impiegare come chiavi di lettura del reale la violenza e brutalità. Entrare nella sua prospettiva, comprendere che la sofferenza, la durezza delle sue storie sono solo l’orrore sbagliato».

L’orrore sbagliato. Eccolo il gioco della O’Connor. Farci paura perbene, produrre in noi uno sgomento che c’insegni di cosa dobbiamo realmente provare sgomento e in che modo, da tutto questo, trarre forza e speranza.

Redenzione è una delle parole chiave. «Ciò che rende unica la O’Connor è la sua interpretazione del reale nella prospettiva della Redenzione — prosegue la Rossini — un punto di vista saldamente ancorato alla fede che non è mai venuto meno».

Per esempio quando da scrittrice ormai affermata chiarisce «scrivo come scrivo perché (non sebbene sia) cattolica» o delimita con chiarezza il suo orizzonte narrativo: «Se c’è una cosa tremenda a scrivere quando si è cristiani, è che per te la realtà suprema è l’Incarnazione, la realtà presente è l’Incarnazione e all’Incarnazione non ci crede nessuno».

Scrivere la biografia di un autore che si ama è uno degli equilibrismi più difficili, il rischio è quello di “finirci dentro” coi propri gusti, con le proprie inclinazioni. «La mia decisione fondamentale — afferma la Rossini — dalla quale  è dipesa tutta l’impostazione metodologica della biografia, è stata quindi quella di ascoltare la voce di Flannery, ma anche quelle di chi l’ha conosciuta. Sono consapevole che anche solo la scelta di riportare un pensiero o uno scritto piuttosto di un altro tradisce la mia presenza nella biografia, ed è per questo che ho allargato il più possibile l’orizzonte attingendo al mondo che circondava la O’Connor: la sua famiglia, i suoi amici, le persone che chiedevano di incontrarla, la gente del suo territorio». Una biografia “a chilometro zero” possiamo dire, per scherzarci sopra. Ma nemmeno tanto.

E poi c’è la parte più bella di un lavoro come questo, quella che riguarda il rapporto, intimo, privatissimo, fra l’autrice e colei che viene raccontata.

Il dono più grande è trovarsi a rileggere, attraverso se stessi, le cose che ci hanno spinto a scrivere quel libro. «E ogni rilettura — conclude la Rossini — è stata una nuova scoperta di dettagli e di particolari nascosti, che mi hanno di volta in volta costretta a rivedere le conclusioni a cui pensavo di essere giunta e a ripartire».

La composizione di una biografia non è solo un lavoro letterario, c’è un che del farmacista nella Rossini, in quel saper dosare e miscelare la scrittura e la vita della O’Connor, magari per scoprire che ognuna delle due tenta di mettersi in comunicazione con l’altra. «Partecipare al mondo della O’Connor — conclude la Rossini — tanto quello narrativo quanto quello personale, ha richiesto la forza di non arrendermi di fronte all’efferatezza degli eventi narrati e la passione per riuscire a sentire “almeno nelle ossa, se non altrove”, che nelle sue storie, come anche nella sua breve vita, “sta succedendo qualcosa che conta davvero”».

di Cristiano Governa