Appello a dieci anni dal disastro di Fukushima

Un ambiente sicuro
per i nostri figli

Entro la metà del 2022 nella centrale di Fukushima sarà esaurita la capienza dei serbatoi di acqua di raffreddamento
18 febbraio 2021

A ormai pochi giorni dal decimo anniversario del disastro di Fukushima, le Conferenze episcopali del Giappone e della Corea del Sud hanno unito le loro voci per condannare i piani del governo nipponico di rilasciare in mare un milione di tonnellate di acque di raffreddamento stoccate in immensi serbatoi intorno alla centrale nucleare, gravemente danneggiata dall’incidente dell’11 marzo 2011 causato principalmente dal terremoto di magnitudo 9 che si verificò al largo della costa della regione di Tōhoku. In una lettera indirizzata al premier giapponese Yoshihide Suga, i presidenti delle Commissioni Ambiente e Giustizia e pace dei due paesi hanno espresso la propria opposizione allo «scarico nell’oceano di acque contenenti trizio radioattivo anche dopo il filtraggio effettuato presso la centrale nucleare gestita dalla Tokyo electric power company».

Il trattamento delle acque di raffreddamento è uno dei problemi ancora aperti a Fukushima. In attesa dello smantellamento dei reattori, che procede a rilento a causa dei livelli ancora elevati di radioattività presenti all’interno della centrale, l’area che presenta criticità viene tenuta sotto controllo riversando continuamente nuova acqua. Finora, per prevenire qualsiasi rischio di contaminazione, l’acqua viene poi immagazzinata in un complesso sistema di serbatoi dopo essere stata filtrata con un processo che rimuove la maggior parte del materiale radioattivo, con una notevole eccezione: il trizio. Si prevede che entro metà 2022 la capienza dei serbatoi sarà esaurita. Per questo motivo il governo nipponico ha espresso l’intenzione di scaricare queste acque in mare, sostenendo che dopo il filtraggio a cui sono sottoposte le scorie di trizio non costituiscano più un pericolo. Una tesi che i vescovi del Giappone e della Corea del Sud nella loro lettera mettono in discussione, evidenziando che le rassicurazioni offerte dalle autorità sulle basse concentrazioni della sostanza radioattiva si basano su test ancora incompleti e che «non sono stati ottenuti risultati affidabili». «Possiamo dire con certezza che una volta rilasciato nell’oceano, il materiale è radioattivo in modo irreversibile», affermano i presuli, criticando inoltre il fatto che nulla sia stato detto sui possibili effetti a lungo termine sull’ambiente marino, un aspetto questo che preoccupa fortemente i pescatori di tutto il tratto di mare compreso tra il Giappone e la Corea. Per questi motivi le due conferenze episcopali chiedono che per la gestione delle acque di raffreddamento siano esaminate opzioni diverse dallo scarico nell’oceano. «Abbiamo la responsabilità di consegnare alle future generazioni un ambiente nel quale davvero si possa vivere in maniera sicura», scrivono i vescovi in conclusione della lettera, citando l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco: «Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno» (n°159).

Già nel novembre 2011, la Conferenza episcopale aveva diffuso una dichiarazione pastorale intitolata «Abolire immediatamente le centrali nucleari: di fronte alla tragedia del disastro di Fukushima e Daiichi», che evidenziava i pericoli delle centrali nucleari e ne chiedeva la chiusura, per evitare che nel futuro potessero ripetersi incidenti simili. Pochi giorni dopo, in occasione di un incontro tra cattolici del Giappone e della Corea del Sud a Sendai, l’allora vescovo di Niigata, monsignor Tarcisius Isao Kikuchi, aveva esortato a «guardare al futuro e pensare con senso di responsabilità alle prossime generazioni».

di Charles de Pechpeyrou