La settimana di Papa Francesco

Il magistero

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18 febbraio 2021

Venerdì 12

Una cultura dell’incontro tra le religioni

Esprimo apprezzamento per la presentazione del volume La cultura dell’incontro: relazioni internazionali, dialogo interreligioso e pace, che rappresenta il frutto dell’Incontro di Stoccolma nell’ottobre 2019. Saluto il Cardinale Arborelius e lo ringrazio per il sostegno che la Chiesa in Svezia ha dato a questa iniziativa, a favore della promozione del dialogo tra le religioni e al servizio dell’unità della famiglia umana.La persistente crisi sanitaria globale ha dolorosamente evidenziato l’urgente necessità di promuovere una cultura dell’incontro, affinché cresca  il desiderio di incontrare gli altri, di cercare punti di contatto, di costruire ponti, di elaborare progetti che includano tutti. Come accademici e diplomatici di vari Paesi, voi  svolgete un ruolo importante [nella] attenzione ai diritti dei più poveri ed emarginati. Le menti e i cuori devono essere in armonia nel perseguire il bene comune universale e — secondo la tradizione della Scuola di Salamanca — nel cercare lo sviluppo integrale di ogni persona, senza eccezioni o ingiuste discriminazioni.Un approccio integrato alla difesa e alla promozione dei diritti di tutti spetta ai leader politici e religiosi, perché una cultura dell’incontro può fornire la base per un mondo più unito e riconciliato. Solo questa cultura può portare a una giustizia sostenibile e alla pace, così come a un’autentica cura per la  casa comune.V’incoraggio a rimanere impegnati nella ricerca di strade nuove e creative, che portino alla crescita di questa cultura dell’incontro, a vantaggio anche della concordia e del benessere delle generazioni future.

(Discorso consegnato a una delegazione dell’Istituto europeo di Studi internazionali)

Comunicare la verità

È importante conservare la memoria della storia e avere nostalgia non tanto del passato, quanto del futuro  [da] costruire. La radio porta la parola  nei posti più sperduti. E la coniuga oggi anche con le immagini e con lo scritto. Avanti con coraggio e creatività nel costruire una comunicazione capace di far vedere la verità delle cose.

(Messaggio per i novant’anni di Radio Vaticana)


Domenica 14

Un Dio che si “contamina” toccando l’umanità ferita

Il Vangelo (Mc 1, 40-45) presenta l’incontro fra Gesù e un uomo malato di lebbra. I lebbrosi erano considerati impuri e, secondo la Legge, dovevano rimanere fuori dal centro abitato. Esclusi da ogni relazione umana, sociale e religiosa, non potevano entrare nel tempio.
Gesù, invece, si lascia avvicinare da quell’uomo, si commuove, addirittura stende la mano e lo tocca.
Così realizza la Buona Notizia: Dio si è fatto vicino alla nostra vita, ha compassione per le sorti dell’umanità ferita e viene ad abbattere ogni barriera.
Il Vangelo dice che Gesù vedendo il lebbroso, ne ebbe compassione. E tenerezza.
Tre parole indicano lo stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza.
Possiamo vedere due “trasgressioni” che si incontrano: la trasgressione del lebbroso che si avvicina a Gesù; e Gesù che, mosso a compassione, lo tocca con tenerezza per guarirlo. Ambedue sono dei trasgressori.
La prima trasgressione è del lebbroso: la sua malattia era considerata un castigo divino, ma, in Gesù, egli vede non il Dio che castiga, ma il Padre che libera dal peccato e mai esclude dalla sua misericordia.
Può uscire dall’isolamento, perché trova Dio che condivide il suo dolore.
L’atteggiamento di Gesù lo attira, lo spinge a uscire da sé stesso e ad affidare a Lui la sua storia dolorosa.

Tanti bravi confessori

Permettetemi un pensiero a tanti bravi sacerdoti confessori che hanno questo atteggiamento di attirare la gente che si sente niente, “al pavimento” per i  peccati.
Bravi quei confessori che non sono con la frusta in mano, ma soltanto per ricevere, ascoltare, e dire che Dio è buono e perdona sempre.
La seconda trasgressione è quella di Gesù. Qualcuno direbbe: ha peccato, ha fatto quello che la legge vieta.
È un trasgressore. Non si limita alle parole, ma tocca. E [ciò] significa stabilire una relazione,  coinvolgersi nella vita dell’altro fino a condividerne le ferite.
Con questo gesto, Gesù mostra che Dio non è indifferente, non si tiene a “distanza di sicurezza”.
Anche oggi nel mondo tanti nostri fratelli soffrono per il male di Hansen o per altre malattie e condizioni a cui è purtroppo associato un pregiudizio sociale.
A ciascuno di noi può capitare di sperimentare ferite, fallimenti, sofferenze, egoismi che ci chiudono  per vergogna, per umiliazioni, ma Dio vuole aprire il cuore.
Non è un’idea o una dottrina astratta, ma Colui che si “contamina” con la nostra umanità ferita e non ha paura di venire a contatto con le nostre piaghe.

La grazia di due trasgressioni

Ha detto san Paolo (cfr. 2 Cor 5, 21): Lui che non può peccare, si è fatto peccato. Guarda come si è contaminato Dio per avvicinarsi a noi, per avere compassione e far capire la sua tenerezza.
Per rispettare le regole della buona reputazione e delle consuetudini sociali, noi spesso mettiamo a tacere il dolore o indossiamo maschere che lo camuffano.
Per far quadrare i calcoli dei nostri egoismi o le leggi interiori delle nostre paure, non ci coinvolgiamo nelle sofferenze degli altri.
Chiediamo invece al Signore la grazia di vivere queste due “trasgressioni”.
Quella del lebbroso, perché abbiamo il coraggio di uscire dal nostro isolamento e, invece di restare a commiserarci o a piangere i fallimenti, andiamo da Gesù come siamo: “Signore io sono così”. Sentiremo quell’abbraccio tanto bello.
E la trasgressione di Gesù: un amore che fa andare oltre le convenzioni, che fa superare i pregiudizi e la paura.
La Quaresima tempo favorevole per dare un senso di fede e di speranza alla crisi che stiamo vivendo.

(Angelus in piazza San Pietro)


Lunedì 15

I martiri copti santi di tutti i cristiani

Oggi ho nel cuore questi ventuno uomini battezzati cristiani con l’acqua e lo Spirito, e quel giorno di febbraio 2015  anche con il sangue. Sono i nostri Santi, Santi di tutti i cristiani, Santi di tutte le confessioni e tradizioni cristiane. Sono coloro che hanno imbiancato la loro vita nel sangue dell’Agnello. Sono andati a lavorare all’estero per sostenere le loro famiglie: uomini normali, padri di famiglia, o con il desiderio di avere dei figli;  che non solo cercano di avere pane a casa, ma di portarlo con la dignità del lavoro. E questi uomini hanno dato testimonianza di  Cristo. Sgozzati dalla brutalità dell’Isis, morivano confessando il nome di Gesù. È vero che c’è una tragedia: questa gente ha lasciato la vita sulla spiaggia; ma la spiaggia è stata benedetta dal loro sangue. Dalla loro fede semplice ma coerente hanno ricevuto il dono più grande che possa ricevere un cristiano: la testimonianza di Gesù Cristo fino a dare la vita. Ringrazio Dio nostro Padre perché ci ha dato questi fratelli coraggiosi. Ringrazio lo Spirito Santo perché ha dato loro la forza e la coerenza di arrivare alla confessione di Gesù  fino al sangue. Ringrazio i vescovi, i preti della Chiesa sorella copta che li ha allevati, ha loro insegnato a crescere nella fede. E ringrazio le mamme  che hanno loro “allattato” la fede: sono le mamme del popolo santo di Dio che trasmettono la fede “in dialetto”, un dialetto che va oltre le lingue, il dialetto delle appartenenze. Preghiamo insieme in questa memoria di questi ventuno Martiri copti: che loro intercedano per tutti noi davanti al Padre.

(Videomessaggio in memoria dei lavoratori egiziani uccisi in Libia)


Mercoledì 17

Un viaggio di ritorno a Dio

Iniziamo il cammino della Quaresima con le parole del profeta Gioele, che indicano la direzione da seguire. C’è un invito di Dio: «Ritornate a me con tutto il cuore».
La Quaresima è un viaggio di ritorno a Dio. Quante volte, indaffarati o indifferenti, abbiamo detto: “Verrò da Te dopo, aspetta. Oggi non posso, ma domani comincerò a pregare e a fare qualcosa per gli altri”. E così un giorno dopo l’altro.
Ora Dio fa appello al nostro cuore. Nella vita avremo sempre cose da fare e scuse da presentare, ma oggi è il tempo di ritornare a Lui.
La Quaresima è un viaggio che coinvolge tutta la nostra vita. È il tempo per verificare le strade che stiamo percorrendo, per ritrovare la via che ci riporta a casa, per riscoprire il legame fondamentale con Dio.

La Quaresima non è raccolta di fioretti

Non è una raccolta di fioretti, è discernere dove è orientato il cuore. Proviamo a chiederci: dove mi porta il navigatore della mia vita, verso Dio o verso il mio io?
Vivo per piacere al Signore, o per essere notato, lodato, preferito, al primo posto?
Ho un cuore “ballerino”, che fa un passo avanti e uno indietro, ama un po’ il Signore e un po’ il mondo, oppure un cuore saldo in Dio?
Sto bene con le mie ipocrisie, o lotto per liberare il cuore da doppiezze e falsità?
Il viaggio della Quaresima è un esodo dalla schiavitù alla libertà.
Quaranta giorni che ricordano i quarant’anni in cui il popolo di Dio viaggiò nel deserto per tornare alla terra di origine.
Ma quanto fu difficile lasciare l’Egitto! Sempre durante il cammino c’era la tentazione di rimpiangerne le cipolle, di tornare indietro, di legarsi ai ricordi del passato, a qualche idolo.
Anche per noi  il viaggio di ritorno a Dio è ostacolato da malsani attaccamenti, trattenuto dai lacci seducenti dei vizi, dalle false sicurezze dei soldi e dell’apparire, dal lamento vittimista che paralizza.
Per camminare bisogna smascherare queste illusioni.
Ma come? Aiutano i viaggi di ritorno che la Parola di Dio racconta.
Guardiamo al figlio prodigo... pure per noi è tempo di ritornare al Padre.
Abbiamo dimenticato il profumo di casa, dilapidato beni preziosi per cose da poco e siamo rimasti con mani vuote e cuore scontento.
Siamo figli che cadono in continuazione, come bimbi piccoli che provano a camminare ma vanno in terra, e hanno bisogno di essere rialzati ogni volta dal papà.

Il perdono del Padre che rimette sempre in piedi

È il perdono del Padre che rimette sempre in piedi: la Confessione è il primo passo del nostro viaggio di ritorno. Raccomando i confessori: siate come il padre, non con la frusta, con l’abbraccio.
Abbiamo bisogno di  Gesù,  come quel lebbroso risanato che tornò a ringraziarlo. In dieci erano stati guariti, ma lui solo fu anche salvato, perché era tornato da Lui.
Tutti, tutti abbiamo malattie spirituali, da soli non possiamo guarirle; tutti abbiamo vizi radicati, da soli non possiamo estirparli; tutti abbiamo paure che  paralizzano, da soli non possiamo sconfiggerle.
Abbiamo bisogno di imitare quel lebbroso, che tornò da Gesù e si buttò ai suoi piedi.
Ci serve la guarigione di Gesù, mettergli davanti le nostre ferite e dirgli: “Sono qui davanti a Te, con il mio peccato, le mie miserie. Tu sei il medico,  puoi liberarmi. Guarisci il mio cuore,  la mia lebbra”.
La cenere sul capo ci ricorda che siamo polvere e in polvere torneremo.
Ma su questa nostra polvere Dio ha soffiato il suo Spirito di vita.

Ceneri e polvere

Allora non possiamo vivere inseguendo la polvere, andando dietro a cose che oggi ci sono e domani svaniscono.
Torniamo allo Spirito, al Fuoco che fa risorgere le nostre ceneri... Saremo sempre polvere ma, come dice un inno liturgico, polvere innamorata.
Riscopriamo il fuoco della lode, che brucia le ceneri del lamento e della rassegnazione.
Questo nostro viaggio di ritorno a Dio è possibile solo perché c’è stato il suo viaggio di andata verso di noi.
Prima che noi andassimo, Lui è sceso verso di noi.

Lasciarsi prendere per mano

Per non lasciarci soli e accompagnarci nel cammino è sceso dentro al nostro peccato e alla nostra morte.
Il nostro viaggio, allora, è un lasciarci prendere per mano.
Lasciatevi riconciliare: il cammino non si basa sulle nostre forze.
La conversione del cuore, con i gesti e le pratiche che la esprimono, è possibile solo se parte dal primato dell’azione di Dio.
A farci ritornare a Lui non sono le nostre capacità e i nostri meriti da ostentare, ma la sua grazia da accogliere.
Ci salva la grazia, la salvezza è pura gratuità. 
L’inizio del ritorno a Dio è riconoscerci bisognosi di Lui, bisognosi di misericordia. Questa è la via giusta, la via dell’umiltà.
Oggi abbassiamo il capo per ricevere le ceneri.
Finita la Quaresima ci abbasseremo ancora di più per lavare i piedi dei fratelli.
La Quaresima è una discesa umile dentro di noi e verso gli altri.
È capire che la salvezza non è una scalata per la gloria, ma un abbassamento per amore. È farci piccoli.

La croce cattedra silenziosa

In questo cammino, per non perdere la rotta, mettiamoci davanti alla croce di Gesù: la cattedra silenziosa di Dio. Guardiamo ogni giorno le sue piaghe, che Lui ha portato in Cielo e fa vedere al Padre nella sua preghiera di intercessione.  In quei fori riconosciamo il nostro vuoto, le nostre mancanze, le ferite del peccato, i colpi che ci hanno fatto male. Eppure proprio lì vediamo che Dio non ci punta il dito contro, ma ci spalanca le mani. Da quelle piaghe siamo stati guariti. Baciamole e capiremo che proprio  nei buchi più dolorosi della vita Dio ci aspetta. Perché dove siamo più vulnerabili, dove ci vergogniamo di più, Lui ci è venuto incontro. E ora ci invita a ritornare a Lui, per ritrovare la gioia di essere amati.

(Omelia per la messa delle Ceneri celebrata nella basilica Vaticana)