Chiese d'Oriente
Nelle lettere quaresimali di patriarchi e vescovi

Il Grande digiuno
tempo di guarigione

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17 febbraio 2021

«Nessuno si salva da solo», ripete spesso Papa Francesco quando parla della pandemia. Nelle Chiese orientali cattoliche, la domanda di salvezza per tutti e la caparra di guarigione che la fa pregustare nel tempo hanno da sempre vibrato nei gesti e nelle pratiche che accompagnano il tempo di Quaresima: digiuno, preghiera, elemosina. Quest’anno, per le comunità cattoliche di rito orientale del Medio Oriente, il tempo quaresimale del “grande digiuno” è iniziato lunedì 15 febbraio. E nelle lettere quaresimali diffuse da patriarchi e vescovi delle Chiese cattoliche orientali l’attesa di guarigione affidata a Cristo sembra abbracciare e farsi carico di tutti gli affanni, le tribolazioni e le ferite che assediano interi popoli di quei Paesi.

La pandemia da covid-19, ultima afflizione abbattutasi anche sui popoli mediorientali, fa irruzione fin dalle prime righe del messaggio quaresimale di Ignace Yousif iii Younan, patriarca di Antiochia dei siri cattolici. Il patriarca paragona la condizione degli afflitti dal covid-19 a quella del lebbroso guarito da Gesù di cui parlano i Vangeli sinottici. Anche in questa pandemia, dopo aver ricordato il rispetto delle regole sanitarie e di quelle sul stanziamento sociale, il patriarca Younan invita tutti a avere piena fiducia nel «tocco risanante di Cristo», il solo che può operare «il cambiamento nell’anima di chi si pente», e «guarisce il peccato con la parola della sua misericordia». Per esercitare questo suo desiderio di guarigione lungo tutta la storia — rimarca il patriarca siro cattolico — Cristo stesso «istituì il sacramento della confessione, e concesse ai sacerdoti il potere di sciogliere dai peccati e guarire le anime».

Anche il patriarca di Antiochia dei Maroniti, cardinale Béchara Boutros Raï, nel suo messaggio di Quaresima, fa riferimento ai duri effetti della pandemia, che «ci spinge tutti a invocare Dio affinché abbia pietà di noi e di tutta l’umanità, dicendo: “Vieni presto, o Signore, in nostro aiuto”».

Nella lettera-memorandum appena diffusa, il cardinale libanese ripropone anche le pratiche quaresimali seguite nella Chiesa maronita, compresa la prassi di astenersi dal cibo dalla mezzanotte a mezzogiorno di tutti i giorni del tempo di Quaresima, ad eccezione dei sabati, delle domeniche e di altri giorni di festa solenne. La pratica del digiuno — nota il patriarca — è sempre collegata alla supplica di essere liberati dalle piaghe che fanno soffrire il popolo. Il digiuno, aggiunge il porporato, «non ha di per sé un valore magico», e commuove il cuore di Dio solo se si accompagna alla preghiera sincera e alla carità verso chi è nel bisogno.

Il ministero di santificazione che la Chiesa esercita attraverso il sacramento della confessione viene riproposto con termini suggestivi nella lettera quaresimale firmata da Krikor-Okosdinos Coussa, vescovo di Alessandria degli Armeni. Il presule, nativo di Aleppo, ricorda che la contrizione e il pentimento avvertiti per i propri peccati sono già un dono di Cristo, un effetto dell’operare della Sua grazia nel cuore di chi si avvicina al sacramento della confessione. E la Chiesa non deve mai stancarsi di esercitare il ministero della riconciliazione: «Né il vescovo né il sacerdote — scrive Coussa — possono trascurare il servizio del sacramento della penitenza che è loro affidato da virtù della loro ordinazione al sacerdozio», e sono «responsabili davanti a Dio» di non lasciare che nessuno si perda a causa dei propri peccati.

L’attesa di essere salvati e liberati dal male può assumere espressioni strazianti nel dolore che da tempo immemore schiaccia i cuori di tanti siriani. Se ne è fatto portavoce davanti a Dio Samir Nassar, arcivescovodi di Damasco dei Maroniti. La Siria, devastata dalla guerra e poi strangolata dalle sanzioni economiche — si legge nel messaggio quaresimale — è come una barca che affonda nella tempesta. E sulle labbra e nel cuore di tanti siriani si affaccia la stessa domanda angosciosa che gli apostoli rivolgono a Gesù, quando la loro barca viene travolta dalle onde nel Mare di Galilea, e loro vogliono svegliare il Signore che a poppa continua a dormire: «Maestro, non ti importa che noi moriamo?». Nel racconto evangelico, Gesù alla fine si sveglia, placa la tempesta e poi chiede ai suoi discepoli: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Marco, 4, 40). La lettera dell’arcivescovo maronita ripropone i connotati esorbitanti della tragedia siriana: centinaia di migliaia di morti, milioni di rifugiati e di case devastate o rase al suolo, con «l’inflazione dilagante e il covid-19 che fanno il resto». In tutto questo, la Chiesa che è in Siria è chiamata a continuare la sua opera al servizio di tutti, attestando davanti a tutti che «se il mondo dimentica la Siria, il Signore guarda e non lascia affondare la barca». Con la stessa speranza che nella lettera quaresimale del patriarca di Babilonia dei Caldei, cardinale Louis Raphaël Sako si intreccia con l’attesa della visita di Papa Francesco in Iraq: «La nostra Chiesa caldea — scrive il porporato — non ha splendore esteriore, non è mai stata al potere. La sua bellezza sta nella sua eredità spirituale e liturgica e nella sua fedeltà alla fede fino al martirio. La sua è una storia di martiri e monaci». Mentre la speranza di questi giorni è che «la visita di Papa Francesco diventi un segno tangibile del rafforzamento della vicinanza tra gli iracheni» e sia un passo importante «per raggiungere la riconciliazione nazionale».

di Gianni Valente