Nella ricerca attenta e continua dell’aspetto strutturale, funzionale e stilistico

Il sogno di Wright

Fortunato Depero, «Grattacieli e Tunnel» (1930)
16 febbraio 2021

Il termine grattacielo identifica un’opera architettonica attraverso una definizione molto singolare; la affida al concetto di altezza, categoria estranea a ogni attribuzione funzionale, che è invece assolutamente indispensabile per descrivere qualsiasi manufatto: un teatro, una residenza, un museo, una stazione, e così via. Riconoscere un edificio in base alla sua dimensione è del tutto improprio. Sarebbe come classificare secondo il colore o la lunghezza. Eppure a tutti, anche a chi non si occupa di architettura, il termine grattacielo è chiaro, familiare e intuitivo; soprattutto, provoca un interesse spontaneo: il desiderio di conoscere la misura dell’altezza e se questa costituisce un primato. Per nessun’altra costruzione si stilano le classifiche dimensionali; se ne indicano talvolta le grandezze, ma ciò non è mai il termine di confronto con gli edifici che hanno funzioni analoghe. Il diametro di una cupola, il numero di stanze di un palazzo, l’estensione di un parco, sono dati di riferimento secondari, anche se utili per inquadrare l’edificio nel contesto urbano o territoriale.

Il grattacielo raccoglie nella sua linea evolutiva una ricerca attenta, e soprattutto continua, dell’aspetto strutturale, funzionale e stilistico. Esprime, spesso anche indipendentemente dalle intenzioni del progettista, un’immagine d’insieme sincera, coerente nei confronti delle scelte costruttive. Nell’arco di 150 anni l’edificio, adottata la struttura in acciaio, ha cambiato spesso fisionomia, conservando però sempre qualche segno del modello precedente. La sua intera storia raccoglie le vicende di un gruppo familiare che, dall’immagine del “palazzo alto”, proseguendo attraverso l’importante esperienza déco, è giunto fino al grattacielo moderno e funzionale. Attraverso graduali e progressive trasformazioni il grattacielo, quasi esclusivamente americano, è passato pertanto dalle forme allungate dei palazzi che, con decori e modanature, imitavano le sembianze del Rinascimento, ai blocchi astratti, rivestiti da involucri unitari, levigati e lucenti, che hanno incominciato a densificare il tessuto urbano. Dopo il “grattacielo moderno”, quasi alla fine del secolo scorso, si materializza un nuovo “grattacielo simbolico” che punta a recuperare quell’espressività che dopo il periodo déco era stata posta in secondo piano.

Dopo che per un secolo il baricentro dei grattacieli è stato saldamente negli Stati Uniti, la generazione più recente si colloca nella Penisola Arabica e in Estremo Oriente, proponendo oggetti talmente fuori scala da risultare estranei a ogni tessuto urbano. Attualmente, tra i cento edifici più alti al mondo, sessanta sono in Asia. Il Burj Khalifa di Dubai, del 2009, il più alto (828 metri), sarà presto superato dall’ambiziosa Jeddah Tower, che arriverà con 200 piani a misurare 1008 metri. Sempre in Asia, sono già in fase di elaborazione progetti ancora più sorprendenti. La scacchiera densa e alta di Manhattan, riferimento della città occidentale moderna, con le eccellenze delle sue cuspidi più nobili e vistose, non costituisce più il riferimento esclusivo: il grattacielo contemporaneo svetta spesso solitario, accetta la componente della sfida e della superbia del valore assoluto sia come emblema che come dimensione; non ha bisogno di esprimersi attraverso il confronto, perché è dominante sul territorio in modo del tutto indipendente e autoreferenziale.

Quale sarà lo sviluppo del grattacielo e come potrebbero evolvere la sua immagine e il suo modello costruttivo? Il primato dell’altezza resterà il suo elemento distintivo. Nonostante molti puristi dell’architettura ritengano che questo fattore debba essere posto in secondo piano, esso non potrà non rimanere centrale in un edificio che assume nella sua definizione proprio l’altezza. Così come permarrà nella costruzione della sua immagine anche il modo in cui viene tripartita la crescita verso il cielo: il basamento, e cioè la relazione con il terreno e con l’ambiente circostante; l’elevazione, la parte più o meno lunga e pronunciata che dal basamento giunge alla cuspide; il coronamento, quasi sempre carico di forti accenti simbolici, svettante sul profilo della città. Questo tema della tripartizione, espressione del modello formale della colonna — base, fusto e capitello — si è tuttavia un po’ appannato. Quando la misura dell’elevazione è troppo preponderante, si smarrisce l’equilibrio tra le parti e il motivo della tripartizione perde un po’ della sua importanza formale.

Altri temi si sono aggiunti tuttavia nella determinazione dell’immagine d’insieme: la scelta hi-tec, dichiarata dal sistema costruttivo e dal rivestimento, e, ancora più recentemente, la sostenibilità, intesa sia come impatto ambientale che come macchina capace di contenere la produzione di energia. Alla rincorsa dei record “muscolari” si è affiancata pertanto la ricerca, anch’essa espressione di un marcato valore simbolico, degli elementi di maggiore attenzione verso l’ambiente: più aria, più energia pulita, più luce e, soprattutto a pari densità abitativa, una maggiore superficie libera a terra, utilizzabile per verde e spazi aperti.

Ovviamente il tema della sostenibilità non può limitarsi agli aspetti tecnici dell’edificio, ma deve confrontarsi in primis con la convivenza, all’interno di un unico edificio, di migliaia di persone. Alle soluzioni tecnologiche si aggiunge la complessità funzionale che trasforma l’edificio in un agglomerato autosufficiente, organizzato per contenere tutti i servizi e le dotazioni che offre la città: la residenza, il commercio, la sanità, la ristorazione, le scuole. Ritorna, a distanza di molti anni, l’idea di Wright e del suo grattacielo alto un miglio che avrebbe potuto soddisfare, con quanto previsto al suo interno, tutte le esigenze della vita associata. L’ingombro sul terreno sarebbe stato minimo, lasciando, nel pieno rispetto dell’ambiente, il più possibile intoccato il territorio naturale.

Il tema della sostenibilità include la sicurezza che, dopo l’11 settembre 2001, è emersa con prepotenza. Il grattacielo sempre più alto e, conseguentemente, sempre più capiente, inevitabilmente rappresenta un obiettivo terroristico sensibile. A ciò si aggiunga il problema recente, sicuramente temporaneo, ma non ancora sufficientemente affrontato per gli edifici multifunzionali e molto alti, della pandemia.

La risposta a questi due problemi è finora univoca: il distanziamento e quindi la riduzione della concentrazione residenziale. La sicurezza va tuttavia confrontata con un’analisi più articolata, che tenga conto di un insieme di fattori non solo tecnici, ma anche culturali, sociologici e psicologici. Sarà più solida infatti quando saranno garantiti scambi interpersonali frequenti e tutti avranno l’opportunità di un confronto in un ambiente diversificato, eterogeneo che favorisca la diffusione di tante storie sociali e individuali.

Ovviamente la sicurezza sconfina in modo del tutto naturale nel benessere, allontanandosi dal campo esclusivo dell’architettura e dell’ingegneria. L’altezza dell’edificio, come visto, non presenta limiti costruttivi insuperabili; al contrario, l’altitudine può generare problemi insostenibili per il corpo umano. Il cambio repentino di pressione legato alla velocità degli ascensori o l’oscillazione alla quale sono esposti i piani alti sotto la spinta del vento quanto sono sopportabili? Inoltre sono evidenti grossi problemi collegati al traffico e ai trasporti urbani.

Molto più che per altre tipologie architettoniche, la costruzione di un grattacielo, fortemente condizionante le caratteristiche urbane e territoriali del luogo, pone seri problemi di opportunità, richiedendo competenze plurime che sappiano interagire tra loro e con le esigenze commerciali che, in tutta la sua storia, hanno proiettato il valore dell’impresa a identificarsi con la grande altezza, soprattutto quando questa rappresenta un primato.

Forse sarà proprio questa complessità, che si ricompone invece in un’immagine facile e sintetica, a rendere il grattacielo il simbolo caotico e paradossale della nostra epoca.

di Mario Panizza