La fede ritrovata di un avvocato vittima di un errore giudiziario

Quel raggio di sole
che filtra dal finestrone

 Quel raggio di sole che filtra dal finestrone  QUO-036
13 febbraio 2021

«Ero in carcere già da qualche settimana. Una domenica un mio compagno di cella mi dice: “Perché non vieni a messa oggi? Lo so che non ti va, che ti annoia, che non sopporti quelli che ci vanno perché tanto la consideri inutile. Ma almeno ti permette di passare un po’ di tempo al di fuori della cella”. Insistette così tanto che alla fine decisi di assecondarlo. E feci bene, perché da quel momento la mia vita non è stata più la stessa». Comincia così il racconto di un detenuto particolare per diversi motivi: anzitutto perché era innocente, del tutto estraneo alle accuse che lo avevano fatto arrestare, come avrebbe in seguito sancito una sentenza di tribunale; e poi perché quel detenuto, uno stimato avvocato del foro di Taranto, era cresciuto con una solida formazione cattolica, dalla quale però si era allontanato in modo brusco e apparentemente irreparabile.

«Avevo fatto le scuole dai salesiani, andavo a messa regolarmente e conducevo una vita da buon cristiano», racconta l’avvocato Nicola Sarcinella, 52 anni. «Poi accaddero due eventi capaci di sconvolgermi l’esistenza: una sera tornai a casa dopo aver sostenuto a Lecce la prima delle tre prove dell’esame per diventare avvocato e trovai mio padre morto. Aveva solo 56 anni, un cancro terribile se l’era portato via. Qualche anno dopo persi anche mia madre, anche lei di cancro, anche lei a soli 57 anni. Era una donna speciale, sapeva infondere la sua forza negli altri, accompagnava i malati a Lourdes, era una splendida cristiana. Da allora non fui più la stessa persona». In che senso? «Mi arrabbiai molto con Dio. Mi convinsi che in qualche modo dovesse avercela con me e interruppi ogni legame con la fede. Smisi di entrare in chiesa, di pregare, di comportarmi come si deve. E mi trasformai in una persona arrogante, presuntuosa, sempre pronta a scontrarsi con gli altri, a sfidare il prossimo quasi come se mi volessi nutrire di quell’odio. Anche sul lavoro ero così, trattavo male i miei clienti, mi divertivo a vederli uscire in lacrime dal mio studio professionale. Per me contavano solo i soldi, il divertimento, il lavoro, le belle auto, le belle donne. Avevo perso ogni senso etico, morale. Ero diventato una specie di mostro».

Poi arriva una data che l’avvocato Sarcinella non dimenticherà più: «Era il 10 dicembre 2013. Alle sei di mattina si presentarono alla mia porta tre finanzieri: “Dobbiamo notificarle un’ordinanza di custodia cautelare”, pensai a uno scherzo o a qualcosa di relativo a un qualche mio cliente. E invece no: “Avvocato, noi la conosciamo, sappiamo che lei è una brava persona, ma purtroppo sappia che la stiamo arrestando”. Mi cadde il mondo addosso».

Lo accusavano di associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale, di essere stato il consulente di un consorzio di cooperative che avevano evaso circa trenta milioni di euro. C’erano intercettazioni telefoniche che sembravano confermare tutto, accuse apparentemente circostanziate, inquirenti sicuri delle loro accuse. Ma l’avvocato Sarcinella sapeva di essere innocente, di non avere nulla a che fare con i capi di imputazione che gli venivano addebitati. L’unica cosa che ancora non sapeva, era che sarebbero dovuti passare sette anni prima che la sua innocenza venisse acclarata.

«Quella vicenda distrusse i rapporti con i miei familiari. Io, orfano di entrambi i genitori, potevo contare solo sui miei due fratelli. Ma entrambi hanno rifiutato dall’inizio di accettare l’idea che potessi essere in carcere da innocente: per i primi tre mesi dietro le sbarre non ho avuto nessuno che mi portasse un cambio della biancheria o del cibo, come accade a tutti gli altri detenuti. Mi hanno cancellato dalla loro vita. Se non ci fossero stati i compagni di cella, non so come sarebbe finita: mi hanno fatto mangiare con loro, mi hanno prestato indumenti e biancheria, mi hanno trattato come fossi un loro familiare».

La vita in carcere è un’esperienza tremenda per chi è colpevole, figuriamoci per un innocente: «Ero pieno di rancore e odio verso tutti, non camminavo certo nella luce di Dio. Ho fatto lo sciopero della fame per protestare la mia innocenza, ho pensato addirittura di farla finita, ho subito un tentativo di aggressione sessuale da parte di un altro detenuto. Ero disperato». Poi, una domenica d’inverno, un compagno di cella croato gli propone qualcosa che fino ad allora non aveva mai preso in considerazione: «Mi propose di andare a messa, pur sapendo che non ne avevo voglia. Insistette così tanto che alla fine mi decisi a seguirlo. La prima parte della funzione passò così, mentre io ero assorto per i fatti miei, sbadigliavo, mi annoiavo, pensavo a cosa avrei fatto in quel momento se fossi stato in libertà». A un tratto, da uno dei finestroni filtrò un raggio di sole che illuminò proprio il bancone dove si trovava il detenuto Sarcinella: «Ho sentito addosso un calore improvviso, benefico, confortante. Scoppiai a piangere, mi si piegarono le gambe e caddi in ginocchio. Mi sentivo debole, ma al tempo stesso più sereno. Gli altri detenuti si voltarono a guardarmi sbigottiti, un diacono si avvicinò per chiedermi se stessi avendo un malore. Ma io stavo bene, anzi: stavo meglio che mai».

Da quel momento per l’avvocato di Taranto in carcere ingiustamente è cambiato tutto: «I giorni passavano, ma io non avevo più paura. Ogni domenica andavo a messa, ero in pace con me stesso, con gli altri, con Dio. Tutto quello che è arrivato dopo, dal progressivo emergere delle circostanze a mio favore fino alla sentenza di assoluzione piena, sono convinto che sia stato aiutato anche da questo mio riavvicinamento al Signore. Senza la fede non ce l’avrei fatta, a superare questa prova».

Il verdetto di assoluzione per non aver commesso il fatto è arrivato al termine di un processo di primo grado. E se la pubblica accusa decidesse di impugnare questo verdetto? «Se il Signore vuole sottopormi a questa ulteriore prova, lo accetterò: non ho timore di nulla, se so di averlo accanto. Grazie a lui ho potuto superare momenti difficilissimi: tornato libero, ma senza lavoro, non avevo soldi neanche per arrivare alla fine del mese. Allora pregavo Lui di darmi la forza e la speranza di andare avanti. E anche tornato alla mia attività quotidiana, gli ho chiesto aiuto per superare il sospetto e il pregiudizio nei confronti di chi è stato in carcere, le maldicenze dei colleghi».

Una vicenda così amara e dolorosa lo ha cambiato profondamente, sia dal punto di vista professionale che umano: «Quando oggi mi capita di incontrare o parlare con un detenuto, gli stringo le mani, lo guardo negli occhi e gli dico: “Quello che tu stai vivendo adesso, l’ho vissuto prima di te e ti capisco”. Così, quando prometto di andarlo a trovare, mantengo sempre la mia parola: perché quando un detenuto sa che in quel giorno il suo legale passerà a incontrarlo, al mattino si sveglia presto e lo aspetta, tutto il giorno. Ecco, non mi sognerei mai di illudere un detenuto: mi sembrerebbe di prenderlo in giro, sarebbe inaccettabile. C’è stato un tempo della mia vita in cui guardavo solo all’aspetto materiale: ecco, tutto questo per me non esiste più, perché viene prima il mio prossimo».

Dal punto di vista personale, l’avvocato Sarcinella ha ritrovato la fede nel modo più completo: «Ho cominciato a frequentare un gruppo di preghiera alla parrocchia di San Pasquale Baylon, a Taranto, lo stesso dov’è cresciuto sant’Egidio Maria. Faccio volontariato presso la parrocchia di Santa Rita di don Gino Romanazzi». E continua ad avere un sogno: «Subito dopo la scarcerazione, per un breve periodo fui costretto all’obbligo di firma in commissariato che mi impedì di partecipare a un viaggio organizzato a Medjugorje. Chiesi l’autorizzazione alle forze dell’ordine, ma mi risposero che sarebbe stata considerata un’evasione. Davanti a quel no piansi. Ma mi ripromisi di fare quel viaggio non appena fossi stato riconosciuto innocente. Ecco, quando finirà l’emergenza da covid, sarà la prima cosa che farò».

di Valentino Maimone