Marta, Maria e Lazzaro, i santi di Betania

La grandezza del piccolo

Jacopo e Francesco Bassano «Gesù in casa di Marta, Maria e Lazzaro»
13 febbraio 2021

Vedere l’universale senza perdere di vista il familiare. Provare compassione per il mondo senza trascurare la misericordia per chi ti è vicino. Equilibrare la tensione tra la fratellanza come prossimo e la famiglia come prossima. Attraversare questo tempo di pandemia tenuti per mano da un Cristo incarnato come simbolo di umanità piena, comprendendo il suo kairos di amore infinito per la debolezza individuale. Avere la capacità di esaminare la storia attuale alla luce degli eventi drammatici vissuti, senza perdere la grandezza di soffermarci su ciò che è piccolo come un istante infinito. Una goccia d’eternità in uno spazio piccolo e vicino in mezzo a un mare sferzato da una mareggiata inattesa e planetaria.

Il 26 gennaio scorso, nella memoria liturgica dei santi vescovi Timoteo e Tito, il cardinale Robert Sarah e l’arcivescovo Arthur Roche, rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, hanno firmato un decreto di variazione nel Calendario romano generale in riferimento alla celebrazione del 29 luglio, che a partire da quest’anno sarà chiamata dei santi Marta, Maria e Lazzaro. Il decreto ricorda che «nella casa di Betania il Signore Gesù ha sperimentato lo spirito di famiglia e l’amicizia di Marta, Maria e Lazzaro, e per questo il Vangelo di Giovanni afferma che egli li amava». Poi aggiunge: «Marta gli offrì generosamente ospitalità, Maria ascoltò docilmente le sue parole e Lazzaro uscì prontamente dal sepolcro per comando di Colui che ha umiliato la morte». E conclude: «Accogliendo la proposta di questo Dicastero, il Sommo Pontefice Francesco ha disposto che il 29 luglio figuri nel Calendario Romano Generale la memoria dei santi Marta, Maria e Lazzaro».

In questa storia evangelica giovannea si percepisce, come in poche altre, la tensione degli opposti nei tempi previ al cammino della passione, morte e risurrezione di Gesù. Il Signore si stava già dirigendo verso Betania, pur sapendo che così si sarebbe esposto a un’accelerazione del processo finale già orchestrato dal Sinedrio, che cercava solo un’opportunità per metterlo in atto. In qualche modo, alcuni dei suoi discepoli percepirono quella tensione pericolosa e gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?» (Giovanni, 11, 8). Appare chiaro nella risposta criptica di Gesù che la sua visione dei tempi e degli eventi non coincideva con la loro: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». Così parlò e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (ibidem, 11, 9-11). Allo stesso modo si desume che per Gesù era necessario il viaggio pedagogico che avrebbe portato alla risurrezione del suo amico Lazzaro come testimonianza del suo potere sulla morte e sui suoi tempi, ma anche per accelerare in maniera definitiva la sua fine: «Da quel giorno dunque decisero [il Sinedrio] di ucciderlo» (ibidem, 11, 53). La sua vittoria sulla tensione tra la vita, la morte e i suoi tempi cronologici e infiniti era la pulsione che superava la tensione degli opposti. «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà» (ibidem, 11, 25).

Nel suo recente messaggio per la xxv Giornata mondiale della vita consacrata, Papa Francesco ha affermato: «Mi piace ricordare Romano Guardini, che diceva: la pazienza è un modo con cui Dio risponde alla nostra debolezza, per donarci il tempo di cambiare». Con quel viaggio inatteso, pericoloso e apparentemente estemporaneo e innecessario, Gesù desiderava dare anche una lezione di pazienza, per la loro debolezza, ai suoi discepoli, ai quali quella tensione risultava insopportabile. La stessa impazienza che provarono prima Marta e poi Maria nell’accogliere Gesù dopo la morte del suo amico: «[...] se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Giovanni, 11, 21 e 32). Anche Gesù desiderava trascorrere un tempo di guarigione, di vicinanza e di quotidianità con quella famiglia tanto amata. La casa di Maria, Marta e Lazzaro in Betania era per il Signore un luogo accogliente, con profumi di villaggio e sapori di amicizia paesana. Gesù si sarebbe lanciato in un universo infinito dopo il suo passaggio per la maestosa Gerusalemme, ma neppure in quella circostanza si privò del tempo necessario per visitare le amate periferie paesane che erano parte di lui.

Seguendo l’opera e il pensiero di Guardini, in Der Gegensatz si sviluppa il significato profondo dell’importanza della tensione degli opposti. Opposti che, lungi dall’essere un problema, rappresentano una soluzione che va oltre ogni irrigidimento di una visione binaria ed egemonica della realtà teologica, sociale e antropologica. Perché questa visione statica e unipolare paralizza, obnubila il pensiero e non lascia spazio all’azione rinnovatrice di Dio. Guardini sosteneva: «Non possiamo accettare che si consolidi una società duale». Potremmo ben dire in tal senso che si applica anche il motto dell’Hyperion di Hölderlin: «Non porre limite al grande, ma concentrarsi sul piccolo».

Occorre guardare la pandemia mondiale con uno sguardo universale. E constatare la disuguaglianza nell’accesso ai servizi sanitari per i Paesi e i continenti poveri e ora la scandalosa asimmetria nella disponibilità dei vaccini in base alle possibilità economiche di ogni singolo Stato. Ma bisogna anche “tendere l’arco” degli opposti per riferirci al piccolo, che, essendo tale, rappresentando il tangibile, il quotidiano e il familiare, riveste un carattere di cicatrizzazione della situazione che è nell’ottica dell’essere cristiano. Pertanto, concentrarsi su quello che avviene nel mio villaggio, nella mia famiglia, nella mia comunità, rappresenta uno sguardo imprescindibile che, come alcuni discepoli di Gesù, molti non comprenderanno. Abbiamo bisogno della pazienza di guardare al quotidiano, a ciò che è vicino e familiare, per avere la pazienza che ci può far cambiare il nostro essere deboli in conversione spirituale a Gesù, Signore dei tempi e della storia. Naturalmente non dobbiamo dimenticare che, in sintonia con la nostra cattolicità spirituale, il nostro limite è l’intera umanità e la giustizia integrale, alla luce dell’ermeneutica del regno di Dio e della sua giustizia. Ma in questo momento è anche importante recuperare la grandezza di ciò che è piccolo, come fece Gesù che, nel suo cammino verso la salvezza universale, non trascurò la vicinanza a una famiglia amata e piccola come quella di Maria, Marta e Lazzaro.

di Marcelo Figueroa