Hic sunt leones
La turbolenta vicenda dei caschi blu irlandesi nella secessione del Katanga

La battaglia di Jadotville

Soldati irlandesi in Congo all’inizio degli anni Sessanta
12 febbraio 2021

Sessant’anni fa e precisamente il 21 febbraio del 1961, le Nazioni Unite approvarono la risoluzione 161 con la quale si chiedeva alle forze Onu di agire con tutte le misure necessarie, compreso l’uso della forza, per arrestare il dilagare della guerra civile congolese e per espellere dall’ex colonia belga tutto il personale militare, paramilitare e mercenario straniero.

Il provvedimento faceva seguito all’indignazione dell’opinione pubblica internazionale suscitata dall’uccisione di Patrice Émery Lumumba (17 gennaio 1961), primo presidente del Consiglio della nuova Repubblica del Congo (successivamente Zaire e oggi Repubblica Democratica del Congo) da parte dei secessionisti katanghesi capeggiati da Moïse Kapenda Tshombé. Gli interessi stranieri legati alle vaste risorse minerarie della regione, è bene precisarlo, resero lo scenario a dir poco incandescente.

Da rilevare che era stato proprio Lumumba a chiedere l’intervento delle Nazioni Unite, le cui forze in un primo momento però rifiutarono di intromettersi per porre fine alla secessione del Katanga. Lumumba chiese allora aiuto all’ex Unione Sovietica ma, entrato in violento conflitto con l’allora presidente della Repubblica congolese Joseph Kasa-Vubu e con Mobutu Sese Seko, capo di stato maggiore dell’esercito (poi per lunghi anni uomo forte dell’ex Zaire), venne arrestato. Successivamente fu trasferito in aereo con due dei suoi stretti collaboratori (Maurice Mpolo, ministro degli Interni, e Joseph Okito, presidente del Senato) a Elisabethville (l’attuale Lubumbashi), nel Katanga dove i tre vennero giustiziati.

Nel frattempo, il 29 agosto del 1961, in risposta ad una esplicita richiesta del presidente Kasa-Vubu, l’Onu lanciò l’operazione Rum Punch. I caschi blu, al comando del generale irlandese Sean MacEoin, occuparono senza spargimento di sangue, le zone strategiche del Katanga, arrestando circa 500 ufficiali, molti dei quali mercenari operanti nelle forze armate katanghesi. Qualche giorno dopo gli ufficiali vennero rilasciati a condizione che abbandonassero il territorio congolese. Questi accettarono, ma un certo numero di essi rientrarono nel Katanga clandestinamente.

Seguì un’intensa attività diplomatica portata avanti dall’allora rappresentante delle Nazioni Unite in Congo, il diplomatico irlandese Conor Cruise O’Brien allo scopo di convincere Tshombé a consegnare tutti i mercenari operanti nella gendarmeria katanghese e a negoziare con il governo centrale. Al rifiuto di Tshombé ad un ultimatum imposto, ed avendo notizie che le truppe katanghesi stavano preparando degli attacchi alle posizioni e al personale della missione Onu in Congo (Onuc), il 13 settembre 1961 il Segretario generale delle Nazioni Unite, lo svedese Dag Hammarskjöld, diede l’autorizzazione a lanciare un’offensiva militare (Operazione Morthor) contro le unità mercenarie dell’autoproclamatosi Stato del Katanga (e supportato da Belgio, Sud Africa e Rhodesia, oltre che da parecchie multinazionali occidentali che avevano interessi nella regione).

La decisione di Hammarskjöld fu certamente sofferta non foss’altro perché le Nazioni Unite furono costrette, per certi versi, a rinunciare al principio di neutralità e a combattere apertamente contro il Katanga di Tshombé. Nel corso delle operazioni, un gruppo di soldati irlandesi, la Compagnia A, composta da circa 150 caschi blu, facente parte del 35º Battaglione di fanteria irlandese, venne dislocato presso la città mineraria di Jadotville, a circa 120 km a nord-ovest di Elisabethville.

La compagnia A era formata da volontari provenienti dalle guarnigioni di Athlone, Mullingar, Galway e Finner Camp nel Donegal ed era comandata dal comandante Pat Quinlan. Ai primi di settembre del 1961 i caschi blu irlandesi vennero circondati da almeno 2500/3000 militari, la maggioranza katanghesi, ma anche mercenari, comandati dal pluridecorato ex legionario francese Rene Faulques che era in Congo a seguito del suo maestro Bob Denard. Il rapporto di forze era di di 1 a 20, infatti le forze secessioniste poterono contare non solo sull’apporto di truppe di terra ma anche del supporto aereo e di mortai pesanti; gli irlandesi di converso disponevano solo di armi leggere, qualche vecchia mitragliatrice Vickers della seconda guerra mondiale e mortai da 60 mm. I caschi blu irlandesi opposero resistenza per cinque lunghi giorni nella speranza di ricevere rinforzi che purtroppo non arrivarono.

Da rilevare che la situazione complessiva per il contingente dei caschi blu in Congo si rese molto difficile anche a seguito dell’incidente aereo che coinvolse Hammarskjöld mentre era in volo sui cieli dell’attuale Zambia. L’aereo, un DC-6B, che aveva a bordo il Segretario generale dell’Onu e altre 13 persone si schiantò vicino a Ndola, in quella che allora era la Rhodesia del Nord e che ora fa parte dello Zambia.

Fin da allora furono in molti a ritenere che si trattò di un attentato anche se la verità sull’accaduto non è mai venuta fuori. Esaurite le munizioni e senza più acqua e cibo, Quinlan e i suoi uomini furono costretti ad arrendersi. Il bilancio delle vittime katanghesi fu di 300 uomini tra cui 30 mercenari, mentre gli irlandesi contarono 5 feriti. Sebbene avessero resistito in condizioni estreme, i militari irlandesi, una volta deposte le armi, vennero incarcerati e trattati come veri e propri ostaggi dalle forze del Katanga.

Al ritorno in patria, dopo cinque lunghe settimane di segregazione, la compagnia A subì un’ingiusta derisione venendo pubblicamente tacciata di codardia. Sebbene non avessero cercato lo scontro con i katanghesi e si fossero comportati eroicamente sotto assedio, a nessun soldato di Quinlan venne attribuito un riconoscimento militare. La loro triste vicenda venne insabbiata molto in fretta per motivi diplomatici, mentre O’Brien, pubblicando le proprie memorie, nel libro To Katanga and Back (1962) e in vari articoli apparsi sulle più importanti testate internazionali, fornì una propria versione dei fatti occorsi nel Katanga a discapito dei suoi valorosi connazionali.

Sta di fatto che la figura di O’Brien, a differenza del comandante Quinlan, venne riabilitata al punto tale che dal 1973 al ‘77 ricoprì l’incarico di ministro di gabinetto nel governo di Dublino. Solo recentemente, a partire dal 2000, attraverso meticolose ricerche negli archivi delle Nazioni Unite, alcuni giornalisti e saggisti come Declan Power e Michael Whelan, hanno potuto stabilire che la versione di O’Brien sulle responsabilità della resa di Jadotville, dunque della figuraccia di Quinlan e dei suoi caschi blu, era inesatta.

Nel novembre 2005, il ministro irlandese della difesa allora in carica, Willie O’Dea, rese onore ai caschi blu di Jadotville con una cerimonia tenutasi nella caserma di Athlon, sulle sponde del fiume Shannon. Purtroppo Quinlan si era già spento nel 1997, senza che venissero riconosciuti i propri meriti, in primis quello di aver riportato in patria tutti i suoi uomini, con soli cinque feriti nel bilancio delle perdite. Con l’uscita, nel 2016, prima nelle sale cinematografiche e poi su Netflix del film The siege of Jadotville, il grande pubblico è stato messo a conoscenza di questa triste vicenda che comunque, se studiata, fa comprendere le difficoltà che accompagnarono i processi d’indipendenza in Africa.

Le immense ricchezze naturali del continente africano, come quelli presenti nel Katanga, se fossero utilizzate per il benessere delle popolazioni autoctone, rappresenterebbero una straordinaria fonte di sostentamento. Purtroppo, la storia recente del continente insegna che non è proprio così: la politica è spesso ancella di interessi economici legati allo sfruttamento dei giacimenti di materie prime. Anche oggi.

di Giulio Albanese