Monsignor Carlo Colombo a trent’anni dalla morte

Il cuore di un "maestro"

 Il cuore  QUO-034
11 febbraio 2021

«Un’isola teologica» è il titolo, curioso, di un piccolo volume nel quale, nel 2004, monsignor Giuseppe Colombo ha tratteggiato con finezza e precisione il percorso teologico del suo “maestro”, monsignor Carlo Colombo (Olginate, 13 aprile 1909 - Milano, 11 febbraio 1991), del quale quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della morte. Sono pagine che si leggono con piacere, tutte d’un fiato, e che aiutano a conoscere i temi fondamentali e il metodo della teologia di colui che a tutti è noto come il consigliere teologico personale di Paolo vi .

Le «lezioni di teologia che hanno assicurato al professor Colombo la fama del teologo più ricercato in quegli anni in tutta Italia», precisa il suo “discepolo”, e le pagine da lui scritte nascono da una fede profonda e sono interamente «penetrate di fede», sino al punto che «potevano servire direttamente alla meditazione religiosa» (Un’isola teologica, Milano 2004, p. 18). Ciò che, però, ancora rimane «senza risposta» è «da dove venisse tanta fede, così luminosa», perché «il professor Colombo non parlava mai di se stesso né tanto meno ne scriveva» e forse «non riteneva opportuno intrecciare teologia e spiritualità, convinto com’era, che la teologia parla da sola» (pp. 19-20).

Per tentare di fare luce su quel felice e fecondo intreccio tra riflessione teologica e vita spirituale si può, però, fare riferimento a qualcuno dei suoi scritti. Tra tutti, per esempio, un breve articolo pubblicato, nel 1980, su «La Rivista del Clero Italiano» con il titolo Elogio di un parroco di campagna. Il testo, scritto nella piena maturità, non per esigenze accademiche e su un tema che all’autore era particolarmente caro, rivela facilmente alcuni tratti della sua fede e del suo cuore.

Carlo Colombo, vescovo ausiliare della diocesi di Milano dal 1964, prendendo spunto dal «ricordo funebre del parroco di un piccolo paese di campagna» («La Rivista del Clero Italiano» 61 [1980], p. 353), descrive i tratti più belli e significativi della vita sacerdotale. Elogia le iniziative promosse da quel parroco — del quale purtroppo non ci è noto il nome — per far «conoscere la storia religiosa della sua parrocchia» (p. 353) e vi legge l’amore per “la sua gente” che probabilmente ha animato tutto il suo ministero: «Vi sono certe intuizioni che nascono dall’amore e danno origine ad opere geniali ed efficaci assai, prima che se ne renda conto la riflessione: e quel parroco amava molto la sua gente. Per questo credo che la storia religiosa della parrocchia prima, del decanato poi, sono state un atto di amore, un aiuto offerto alla sua gente, e attraverso il suo esempio anche a noi» (p. 354). Difficile non pensare che questo elogio riveli il modo con il quale monsignor Carlo Colombo ha svolto, in tutta la sua vita, il proprio “compito” teologico. Un percorso lungo e articolato: dal 1938 docente di teologia dogmatica presso la Facoltà teologica di Milano e, dal 1962, anche preside; dal 1960, su nomina di Giovanni xxiii , membro della Commissione teologica preparatoria del concilio Vaticano ii ; dal 1964 al 1974 presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo, ente fondatore dell’Università cattolica del Sacro Cuore; dal 1967 al 1985 preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale; dal 1969 al 1974 membro della Commissione teologica internazionale. Un lungo itinerario di studio, di insegnamento e di impegno ecclesiale nel quale, possiamo esserne certi, ha cercato di vivere con lo stesso stile di servizio umile e intelligente di un buon “parroco di campagna”. E con questa espressione non vogliamo svilire il suo lavoro, perché nello stesso articolo presenta il ruolo dei vescovi e, in primo luogo, del Papa come quello di «essere i parroci dei parroci» (p. 355). Uno stile che conosceva bene e che apprezzava molto. Spesso lo aveva sperimentato e volentieri ne parlava: «Ricordo [...] la prima predica fatta come vescovo a un gruppo di seminaristi di liceo: dicevo loro il gran bene ricevuto, da seminarista, dall’esempio di tre sacerdoti [...]. Erano sacerdoti ignoti ai più; avevano, però, una grande fede e si forzavano di educare la propria gente a una visione di fede della realtà; vivevano secondo il Vangelo ed in ogni cosa cercavano di imitare Gesù Cristo ed insegnavano ad amarlo. Per questo erano stimati e la loro parola era efficace: non coltivava molto l’intelligenza, ma penetrava i cuori» (p. 354).

Può sorprendere l’attenzione data più al “cuore” e alla dedizione pastorale che all’intelligenza da parte di chi, con tanto impegno, si è dedicato all’attività intellettuale, propria e degli altri. È segno, però, di un maturo equilibrio nel vivere il proprio “servizio alla fede”. Lo aveva già segnalato, nel 1979, monsignor Giuseppe Colombo in occasione dei festeggiamenti per il settantesimo compleanno del suo “maestro”: «L’ispirazione fondamentale della teologia di Carlo Colombo» è «quella di “servire” la fede». «Nella costruzione teorica di Carlo Colombo, il pensiero della teologia non è fine a se stesso, ma ultimamente finalizzato alla carità».

La sua «opera teologica» «“sconfina” con naturalezza e senza soluzione di continuità nella produzione di carattere pratico-pastorale. In realtà non si tratta di “sconfinamento” ma piuttosto di “osmosi”» (G. Colombo, Presentazione, in La teologia italiana oggi, Milano 1979, pp. 8-9).

Sono passati trent’anni dalla morte di questo grande teologo e pastore, ma il suo esempio e i suoi scritti appaiono ancora in grado di ispirare la mente e il cuore di molti.

di Claudio Stercal