I lembi del Suo mantello
e l’ombra di Pietro

«La guarigione dell’emorroissa » (Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro)
11 febbraio 2021

Era il 1992 quando Giovanni Paolo ii firmò una lettera indirizzata al cardinale Fiorenzo Angelini, allora presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, in cui istituiva la Giornata mondiale del malato da celebrarsi, a partire dal 1993, ogni 11 febbraio. La scelta della data delle apparizioni a Lourdes, da una parte suggellava un “motivo mariano” che ha intrecciato la vita del Papa con il vangelo della sofferenza fino alla sua morte; dall’altra confermava un particolare e misterioso legame tra la grotta di Massabielle e tutti i malati del mondo.

Ora anche la grotta è semideserta, in questo periodo di pandemia, ma continua lo stesso a parlarci di incontri, di sguardi, di sorrisi, intrecciati con la sofferenza e il grido dell’umanità. Amo ricordare le tante volte in cui sono stato anch’io a Lourdes, attirato da quel semplice luogo ma ancor più dalla semplicità dei malati e di chi si prendeva cura di loro. Ricordo i volontari pronti a fare ombra ai sofferenti nei giorni di sole o stretti a loro sotto l’ombrello durante le frequenti piogge dei Pirenei. L’uomo che, come Giobbe, si incontra (o si scontra) con il dramma del male e della malattia cerca risposte, ma comprende che per alcuni “perché?” le risposte non ci saranno mai.

E allora, invece di cercare risposte, cerca vicinanza, cerca persone che ascoltano, che si fanno prossimi senza far discorsi vuoti e formali sulla sofferenza ma che, anche in silenzio, sono capaci di stare accanto.

Il Messaggio di Papa Francesco per questo anno è proprio su questa linea. Nel tempo del distanziamento e delle precauzioni, la persona malata ha ancor più bisogno di relazioni.

«Lo attesta molte volte il Vangelo — scrive il Papa — mostrando che le guarigioni operate da Gesù non sono mai gesti magici, ma sempre il frutto di un incontro, di una relazione interpersonale».

Mi piace a questo proposito ricordare il famoso brano dell’emorroissa (cfr. Mc 5, 25-34). La donna, malata da dodici anni, cerca di avvicinare Gesù, certa che le può bastare anche solo toccare il lembo del suo mantello. Gesù la fa poi venire allo scoperto, ne riconosce la storia, le dice con tenerezza che non solo è guarita dal suo male ma che, grazie alla sua fede, è salvata. Nelle Sue parole, in quel tempo speso solo per lei, in quella relazione, Gesù le offre non soltanto la salute, ma soprattutto la salvezza.

Penso a tanti uomini e donne per cui la reale sofferenza non è tanto la malattia, ma la solitudine, il sentirsi messi da parte dai familiari, esclusi e scartati. Se è vero che una società è tanto più umana quanto più sa prendersi cura dei suoi membri fragili e sofferenti, è ancor più vero di questi tempi. I malati non hanno bisogno solo di essere curati, ma soprattutto di qualcuno che si prenda cura di loro, che offra un’amicizia vera, una vicinanza autentica, gratuita. «La vicinanza — scrive ancora il Papa — è un balsamo prezioso, che dà sostegno e consolazione a chi soffre nella malattia... Per una buona terapia è decisivo l’aspetto relazionale».

È bello credere che chi si fa prossimo ai malati è, da sempre, come un lembo del mantello di Gesù. Un “tocco” può sembrare così poco, ma per chi sta male può essere tanto, a volte tutto.

In questo tempo, però, in cui «non ci si può neanche avvicinare fisicamente», la Chiesa è chiamata ancor più a far percepire la prossimità di Cristo, buon samaritano del mondo.

E allora mi viene in mente un brano del libro degli Atti in cui si racconta che le folle portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro (cfr. At 5, 15).

«Se non possiamo toccare Cristo — pensano — possiamo almeno metterci sotto l’ombra della Chiesa». Questo ci basta.

Nel tempo di pandemia la comunità cristiana — con il successore di Pietro — sta continuando a dare riparo, «con la sua ombra», a tanti sofferenti. La preghiera è continua, è forte l’intercessione, è vivace la fantasia di tanti operatori della pastorale della salute che riescono a farsi prossimi anche senza potersi avvicinare, ma donando comunque anche le loro ombre, lì dove non possono più offrire i «lembi del mantello».

Per fare ombra, come per quei volontari davanti alla grotta di Lourdes, occorre essere toccati dal Sole. Cristo continui a splendere su di noi, perché solo così potremo riparare tanta gente che soffre. E riconosceremo con rinnovato stupore che anche il volto del fratello infermo è stato e sarà per noi un Sole, perché è lo stesso Volto di Cristo, che soffrendo, offre la salvezza all’umanità, dando la vita. Anche a me.

di Paolo Ricciardi
Vescovo ausiliare di Roma