Per liberare dalle mafie l’immagine della Madonna

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10 febbraio 2021

Non è solo questione di inchini di statue, né di omaggi mafiosi alle Madonne. È qualcosa di più profondo e radicato: è un substrato sociale e storico (e non è improprio il termine antropologico) che va scovato e scavato. Un terreno di indagine che apre, indubbiamente, a nuovi studi e approfondimenti che il dipartimento «Liberare Maria dalle mafie» della Pontificia Academia Mariana Internationalis (Pami) sta monitorando con l’avallo di donne e uomini dello Stato, magistrati, impegnati da tempo nella lotta alla malavita organizzata. Toccare il tema dei cosiddetti “riti di iniziazione” alla vita malavitosa sta aprendo nuovi orizzonti di studio che non possono che destare un certo interesse. Gli studi condotti — prima dei lavori del nuovo organismo della Pami, impegnato di recente in due proficui giorni di dibattiti online — sul ruolo della donna nella mafia, ci ha rivelato come la condizione femminile all’interno del sistema mafioso oscilli tra complicità, responsabilità e vittimizzazione intesa come subordinazione. Ma l’approfondimento sta mettendo in luce il ruolo della madre, della donna, all’interno delle organizzazioni malavitose, in una prospettiva del tutto nuova: la donna ha sempre avuto un posto fondamentale nella trasmissione dei “valori” mafiosi ai figli, essendo lei stessa cresciuta in quei “valori” da tramandare a sua volta. Sono le madri, le donne, dunque, a “indottrinare” i figli. E sono loro che reagiscono con più violenza nel dolore. Ed è proprio, nel dolore, ad esempio, che compare la figura di Maria, la donna per eccellenza. Basti pensare ad alcuni casi in cui mogli — rimaste vedove dei propri mariti, morti a causa di quello che viene definito comunemente “regolamento di conti” — che proprio alla Madonna hanno chiesto vendetta. A lei, Maria, la donna del silenzio per antonomasia. A lei, la donna d’amore per eccellenza. Proprio a lei che fu la prima espressione di misericordia per l’uccisione del proprio figlio Gesù.

Ma anche i luoghi mariani sono oggetto di studio. Oltre ai vari “battesimi” e codici di iniziazione (che rimandano a una sorta di liturgia in cui i riferimenti a san Michele arcangelo e alla Madonna sono onnipresenti), un altro rituale tipico e tradizionale della ‘ndrangheta che è necessario menzionare è la famosa visita e pellegrinaggio al santuario della Madonna di Polsi, nei pressi di San Luca, comune in provincia di Reggio Calabria. San Luca e il suo santuario, da sempre, sono stati purtroppo considerati “luoghi sacri” per queste famiglie. Qui si concentrano non solo i grandi clan dell’organizzazione, ma avviene il complesso sistema rituale di “battesimi” e assegnazioni di cariche. Così come lo stesso santuario è stato luogo di summit annuali di tutte le famiglie malavitose, sparse per i cinque continenti.

Il dipartimento «Liberare Maria dalle mafie» ha davanti un lungo lavoro per riuscire a salvaguardare il patrimonio religioso-culturale mariano e condurlo alla «sua originaria purezza, liberandolo da sovrastrutture, poteri o condizionamenti che non rispondono ai criteri evangelici di giustizia, libertà, onestà e solidarietà», così come auspicato da Papa Francesco nella lettera all’Accademia del 15 agosto 2020.

di Antonio Tarallo