Aspetti inediti del Futurismo in Sicilia nel libro di Andrea Parasiliti

Il vulcanico Marinetti e l’Etna

Emilio Sommariva «Ritratto di Marinetti» (1913)
09 febbraio 2021

Per inseguire un sogno di bellezza, lo spirito umano s’ingegna per realizzare paradigmi di riferimento e forme estetiche in grado di coronare l’ambizioso obiettivo. E se il cammino che porta a quel sogno è accidentato, la volontà scavalca l’ostacolo e quindi finisce per conseguire l’agognato premio. A quel sogno di bellezza aspirarono coloro che aderirono al Futurismo in Sicilia, in un’epoca ricca di fermenti culturali e gravida di implicazioni sociali. Sulle briose dinamiche di quell’epoca si concentra il volume di Andrea G.G. Parasiliti All’ombra del vulcano, Il Futurismo in Sicilia e l’Etna di Marinetti (Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2020, pagine 287, euro 30), che anzitutto si configura come un omaggio al patrimonio culturale della regione. Infatti da un lato sono rievocati i significativi aspetti della letteratura siciliana intorno ai cenacoli futuristi di Messina e di Catania, dall’altro sono proposte acute riflessioni sulla tradizione editoriale ragusana intorno alla prestigiosa tipografia Piccitto, in cui si specchiano la capacità e il coraggio dell’imprenditoria di un’area periferica del Paese come il territorio di Ragusa.

Nella prima parte il libro, nel porre al vaglio le salienti caratteristiche del Futurismo in Sicilia, si focalizza su due riviste del movimento: «La Balza Futurista», ovvero, a detta di Marinetti, «la prima rivista veramente futurista», stampata a Ragusa nel 1915; «Haschisch», la rivista del futurfiumanesimo siciliano, fondata a Catania nel 1921. Il volume presenta poi l’edizione critica delle lettere, inedite, di Salvatore Lo Presti, uno dei principali animatori della rivista, inviate dal giovane catanese al padre da Fiume, durante la propria esperienza di volontario presso la Città di Vita, retta dal comandante Gabriele D’Annunzio. Sono 6 lettere — la prima è datata 29 settembre 1920 e l’ultima 28 dicembre 1920 — che illuminano il contesto, gravido di sofferenze, passioni e aspirazioni, nel quale nacque e si sviluppò la rivista «Haschisch».

Nella seconda parte il volume sposta l’attenzione sulla Sicilia del Futurismo, vale a dire sulla Sicilia di Marinetti, che, scrive Parasiliti, è «fatta essenzialmente di un elemento, il più congeniale al suo temperamento, vale a dire il Vulcano: l’Etna». Di primo acchito, questa lettura potrebbe sembrare un po’ bislacca. C’è infatti chi, come Salvatore Ferlita, vede nell’amore di Marinetti per l’Etna «una passione poco futurista», come «un cortocircuito della letteratura». Un’osservazione, questa, che sembrerebbe impossibile da confutare. Infatti, di fronte alle innovazioni tecnologiche del secolo scorso che portano alla nascita dell’avanguardia futurista, l’universo viene ripensato artificialmente. In questo scenario il tempo e lo spazio inducono alla distruzione della sintassi e aprono la strada alle «parole in libertà». «È allora lecito pensare — afferma l’autore — che in questo mondo dominato dalla tecnica non ci sia più spazio per la natura».

In realtà, nella produzione futurista di Marinetti si riscontra un elemento naturale quale musa ispiratrice del suo pensiero: il Vulcano. Esso si configura come una macchina naturale. Questa macchina «ha un nome, e si chiama Etna. Ha pure un ruolo, ed è quello di “padre” di Marinetti e di “Gran maestro” di Futurismo».

Già Le Roi Bombance. Tragedie satirique (1905) introduce alla poesia del vulcano, che cavalca l’onda lunga della tradizione che si rifà a Victor Hugo. In questa opera teatrale si trova L’idiota, il poeta — alter ego di Marinetti — il quale definisce la propria bocca «crepaccio di un vulcano» e afferma che le proprie labbra sono capaci di inondare i detrattori di «un sangue più ardente della lava!». Da quel momento in poi — evidenzia Parasiliti — il vulcano sarà protagonista dell’opera marinettiana: da L’Aeroplano del Papa a Zang Tumb Tuum, dall’opera teatrale Vulcano alla Litolatta, fino all’Aeropoema di Gesù, opera postuma. A proposito dell’Etna, meritoriamente l’autore richiama un passo delle Rabide sorgenti del gran fiume di fuoco sull’Etna (1910) di Federico De Roberto: «Poeti antichi e moderni, scrittori d’ogni età e d’ogni paese hanno cantato e decantato l’Etna per l’enormità della sua mole e la terribilità della sua ira; pochi hanno detto che questo monte tremendo è anche uno dei più belli. Vi sono tutti i climi, dall’eterno tepore delle radici immesse nel mare di Venere e nei fiumi venerati un tempo come divinità, al gelo terno dei culmini. Vi sono per conseguenza tutte le vegetazioni: dalle siepi delle opunzie tropicali, dalle palme e dalle agavi africane, dagli ranci e dalle vigne orientali, ai boschi di pini e di faggi, di betulle e di elci della zona alpestre ed alle crittogame delle regioni artiche».

di Gabriele Nicolò