L’organizzazione statunitense There is hope for me fondata da una vittima della tratta

Una catena umana
che spezza la schiavitù

Davide Tedeschini «La catena spezzata» (1993)
08 febbraio 2021

C’è una catena umana che spezza gli anelli della tratta. Lo testimonia There is hope for me, un’organizzazione statunitense formata in gran parte da donne scampate a questa drammatica esperienza e che ne aiutano altre a liberarsi. «Forniamo soccorso e ristoro ai sopravvissuti del traffico di esseri umani e offriamo loro nuove opportunità allo scopo di emanciparli. È un dono meraviglioso di Dio poter restituire agli altri la speranza e guarirli, facendogli sapere che non sono stati dimenticati, che noi siamo qui per aiutarli e che Dio li ama». Lo dichiara a «L’Osservatore Romano» Katariina Rosenblatt, ex vittima e fondatrice del progetto, intervistata in occasione della Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta che si celebra ogni 8 febbraio, memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita. «Ogni giorno — le fa eco Maria Lia Zervino, presidente dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (Umofc) — penso che milioni di donne e bambini vittime di tratta si svegliano come me e ogni sera prego per loro, chiedendo al Signore di riempire i vuoti di cui avrei dovuto occuparmi per eradicare questa tragedia».

Katariina ha vissuto le esperienze più drammatiche tra i 13 e i 17 anni. La prima volta che ha subito la tratta a sfondo sessuale è accaduto in un hotel. Poi di nuovo a 14 anni nella scuola media che frequentava. La terza volta è successo nella sua casa. Infine sono arrivati i falsi modelli di vita che hanno costellato la sua adolescenza. «Poi finalmente mi sono liberata da tutti loro — ricorda — e da tutte le malsane convinzioni, dalle relazioni e dalla dipendenza delle droghe che mi davano. Così ho iniziato una vita sana e sobria». È allora che ha deciso di sposarsi, ma con un uomo sbagliato da cui ha subito abusi e violenze domestiche. «Ero vulnerabile perché non ho avuto una figura paterna sana, né una vita calma e serena. Così ogni volta che scappavo da certe situazioni restavo esposta agli abusi a casa mia», spiega. Una consapevolezza raggiunta dopo anni di riflessione e studi. «Continuavo a cercare l’amore di un padre, quello che chiamo daddy hole, i papà che non si rendono conto di quanto siano preziosi per i loro figli. Siccome non ho ricevuto aiuto, né esisteva alcuna organizzazione, ho continuato a sperimentare la “rivittimizzazione” dalle persone di cui mi innamoravo o a cui sentivo di appartenere».

Così Katariina ha deciso di dedicarsi agli altri. Oggi ha collezionato master e dottorati e insegna a combattere la tratta. Ha trascritto le sue esperienze in un libro intitolato Stolen. L’opera letteraria è diventata uno strumento educativo che oggi utilizza nelle scuole pubbliche americane, dove ritiene che il reclutamento di bambini sia diventato “un’epidemia” favorita dai social network e dalle app per incontri. «Forniamo assistenza e svolgiamo colloqui per salvare i bambini più vulnerabili», racconta. «Porto con me il libro e parlo della mia storia. Racconto ai ragazzi che hanno avuto esperienza con il traffico di esseri umani che c’è speranza per loro. Ho scoperto che sono più propensi a farsi avanti e a parlare con un sopravvissuto che ha sperimentato la loro stessa esperienza». Perciò There is hope for me è un’organizzazione di sopravvissuti che fanno da mentori ad altri sopravvissuti. Il progetto coinvolge anche religiosi, psicologi, avvocati, consulenti e referenti dell’Fbi. Per tutti, i principali obiettivi sono sensibilizzare la comunità e sostenere il ricongiungimento delle vittime con la famiglia. «Da dodici anni — continua Katariina — li aiuto a trovare la fede e la speranza in Gesù Cristo, mostrando loro l’amore che Dio ha mostrato a me. Credo sia per questo che Lui mi abbia affidato questo ministero: fondare una non profit così che io possa essere per gli altri ciò che non avevo quando ne ho avuto bisogno».

Secondo le stime del Dipartimento di Stato ogni anno negli Stati Uniti 17 mila persone sono vittime del traffico sessuale e lavorativo di esseri umani, soprattutto in Texas, Florida, New York e California. Tuttavia, il fenomeno è nascosto e perciò potrebbe essere molto più esteso. Per Maria Lia Zervino la lotta contro la tratta ricorda lo scontro tra Davide e Golia. «La preghiera e il discernimento intimo con Gesù sono la fonte da cui attingere per eradicare questo potente fenomeno internazionale». Le cause della tratta, spiega, sono quattro: la cultura della discriminazione e del mancato rispetto del corpo delle donne; l’amore per il denaro; la povertà alimentata da vecchi modelli economici; infine l’indifferenza globalizzata di cui ha parlato il Papa. Tutte “cause interrelate” a cui occorre rispondere aprendo le porte, accogliendo, offrendo quelle opportunità che consentano ai sopravvissuti di essere protagonisti nella società e nella Chiesa. È questo l’obiettivo della Umofc, che riunisce un centinaio di organizzazioni cattoliche nel mondo in rappresentanza di otto milioni di donne, e che a tal fine lavora in sinergia con il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita e con la sezione migranti del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. La risposta politica, però, è fondamentale, conclude Zervino: «Le autorità hanno i mezzi per investigare il circuito internazionale del denaro sporco e per arrestare i capi, non solo gli esecutori, ma spesso mancano regole giuridiche che lo permettono e la corruzione lo impedisce».

di Giordano Contu