«Potenza e Bellezza» di Elido Fazi

Un quadro d’epoca
allegoria del mondo

Particolare dalla copertina
08 febbraio 2021

Anche se oggi la tradizionale distinzione della letteratura in generi ha vita dimezzata, la più recente prova narrativa di Elido Fazi Potenza e Bellezza Cronache da Roma e da Parigi (1796-1819) (Roma, Fazi Editore, 2021, pagine 431, euro 20) si può definire un romanzo storico dove convivono felicemente il rispetto della verità e i diritti dell’invenzione letteraria. Editore di lungo e pregevole corso, Elido Fazi rinuncia al suo sguardo di “produttore” di libri e, facendosi ancora una volta appassionato narratore, attraversa il genere riuscendo anche a reinventarlo. Fazi non si limita infatti a drappeggiare di panni antichi il tempo, come direbbe Vittore Branca, piuttosto consegna al lettore una efficacissima ricostruzione di ambienti, personaggi, eventi, dando vita a un quadro d’epoca di grande impatto e suggestione che è insieme un’allegoria del mondo e i cui temi di fondo riescono a dialogare con il presente.

La storia si sviluppa entro le due categorie evocate dal titolo, Potenza e Bellezza, in un percorso parallelo ribadito dal sottotitolo che rimanda a due grandi capitali, Roma e Parigi, e a un periodo storico di centrale importanza nella vita dell’Europa. Il «governo dell’uomo», come lo definiva Aristotele contrapponendolo al «governo delle leggi», vede il più forte rincorrere il potere a ogni costo e nel disprezzo di ogni diritto, ma anche la bellezza esercita sull’umanità una grande capacità seduttiva se il celebre retore ateniese Isocrate già nel v secolo a.C. la definiva «la più ammirabile, la più preziosa e la più divina delle cose». I due snodi entro i quali si sviluppa la narrazione rappresentano ciascuno uno straordinario polo attrattivo sia pure in ambiti opposti: res gestae cioè le imprese militari da una parte, otium dall’altra cioè la contemplazione e lo studio della bellezza che offre la natura e che crea l’ingegno dell’uomo e a cui, nel libro di Fazi, si affianca anche la difesa della patria nel segno della ribellione armata al dominio straniero.

L’azione narrativa ha inizio «in un’afosa giornata di giugno dell’anno 1796» in un’osteria di Bologna dove si incontrano tre personaggi: Costantino un marchigiano dai molti mestieri, agricoltore, produttore di coltelli, fucili e zappe, sensale di matrimoni, un giovanissimo conte Monaldo Leopardi, futuro padre di Giacomo, giunto a Bologna per sottoscrivere un contratto di nozze e un principe bolognese, padre di Diana, la possibile futura sposa. Se il principe è destinato a uscire presto dalla scena per via di quelle nozze che Monaldo promette ma che poi manda a monte, gli altri due saranno protagonisti del romanzo, uniti non solo dalle vicende politiche ma dall’avere entrambi due figli con lo stesso nome, Giacomo, anche se avranno un destino molto diverso: uno combatterà con coraggio la tirannide straniera, l’altro sarà il grandissimo poeta che avrebbe dato eternità a suo padre, un anonimo nobile recanatese quale era allora Monaldo. Questo esordio intimista accoglie e anticipa la sostanza epica del racconto, perché da subito viene evocato l’uomo del momento, quel Napoleone Bonaparte che dopo aver sconfitto piemontesi e austriaci è da poco arrivato con il suo esercito a Bologna. Il suo nome bastava allora a infiammare gli animi. Per alcuni un oscuro bottegaio originario della Corsica che a 26 anni si era ritrovato generale e che avrebbe portato tirannia e soprusi, per molti simbolo e promessa di quei venti rivoluzionari che soffiavano dalla Francia, come canterà Cavaradossi nella Tosca alla notizia della vittoria di Bonaparte a Marengo: «Libertà sorge e crollano tirannidi». Per quasi tutti, infine, quel nome coincideva con la sensazione che un’epoca si stava avviando alla sua conclusione.

Fin dalle battute iniziali a fronteggiarsi sono il mondo e la provincia, cioè l’Europa continentale con Napoleone e le sue campagne di conquista e un angolo periferico dello Stato della Chiesa in una penisola divisa e quindi politicamente fragile. Con grande perizia e una scrittura elegante e nitida, Fazi ricostruisce le vicende di chi arriverà a mettere insieme un regno che da Cadice giunge fino a Mosca. Lo fa raccontando le attese, i desideri, i progetti, gli amori di Napoleone e della sua famiglia, ma anche attraverso la ricostruzione minuziosa di una strategia militare fatta di mobilità, di sorpresa, di cariche alla baionetta con furiosi corpo a corpo, di capacità di motivare i soldati pur salvaguardando una ferrea disciplina, di premiare gli audaci, «ogni soldato — diceva Bonaparte — ha nello zaino il bastone di generale». Una visione innovativa, quella di Napoleone, che si rivelerà vincente contro i rigidi assetti della guerra tradizionale. Con la stessa intensità con cui ritrae la Storia, cioè le imprese del conquistatore francese e la follia del potere che alimenta sé stesso, Fazi racconta la vita, sostituendo ai grandi affreschi d’insieme i percorsi della mente e del cuore degli altri protagonisti. Tutto questo sullo sfondo di una Recanati incolta che giudica studiare e scrivere una colpa o una stravaganza e dove i Leopardi trascorrono le giornate al quieto riparo del palazzo di famiglia, nelle stanze dove si incrociano le mille voci dei libri raccolti nella preziosa biblioteca. Sono tanti e tutti molto parlanti gli episodi scelti per raccontare la quotidianità di quegli anni: il matrimonio di Monaldo e Adelaide, la determinazione di Costantino a prendere le armi e a organizzare un piccolo esercito contro i francesi, l’amore di suo figlio Giacomo per Viola e per la libertà, le scoperte della mente geniale e precoce dell’altro Giacomo che è ancora un bambino ma già coltiva le sue passioni, che sono studiare, tradurre, comporre versi. Un’infanzia a metà la sua. Certo oltre lo studio ci sono le passeggiate nel giardino di casa, i giochi con i fratelli Carlo e Paolina, ma intuire troppo presto la vita porta spesso infelicità e cupezza. E il giovane Leopardi, dal viso «sospiroso e serio», comprende che la Libertà è un bene grandissimo che non tollera di essere imposto con la violenza, altrimenti smette di essere tale, che la vita tra gli uomini deve essere regolata dal diritto, che la Ragione non è quell’unica divinità che il secolo dove si è trovato a vivere riconosce.

Con Potenza e Bellezza, Fazi consegna al lettore un romanzo arioso e sapientemente orchestrato, consapevole, in sintonia con Giacomo, che «se l’Iliade è ancora letta e amata non è tanto per le vittorie di Achille, quanto per le sventure di Ettore». Intrecciando tante storie diverse Fazi compie una precisa scelta di campo tra le due forze evocate nel titolo di derivazione leopardiana. Perché la bellezza non è solo armonia di linee, colori, parole, suoni ma il senso di una civiltà che affida la propria memoria alla infinita capacità creativa dell’uomo. Se, scriveva Giacomo ancora ragazzo, si dovesse giudicare la felicità degli Stati dalla Bellezza e non dalla Potenza «probabilmente non esisterebbe al mondo un popolo più felice di quello degli italiani».

di Francesca Romana de’ Angelis