Solitudine e autoreferenzialità in «The Undoing»

Il tempo del «noi»

Nicole Kidman e Hugh Grant interpretano Grace e Jonathan Fraser nella serie tv «The Undoing»
05 febbraio 2021

Uno dei tratti più originali della riflessione di Papa Francesco riguarda l’ecclesiologia: in ogni intervento il Pontefice non smette di sagomare i lineamenti di una Chiesa sinodale, in uscita, che abita lo stesso mondo, la stessa «casa comune», la «stessa barca» dell’uomo, di tutti gli uomini. Un messaggio che si è fatto ancora più insistente nei mesi segnati dalla pandemia e dalle sue conseguenze. Anche il recente invito ai politici a superare l’io perché è tempo del noi, può calzare perfettamente a una Chiesa che deve farsi sempre più interprete della teologia del popolo di cui condivide sofferenze e speranze.

Allo stesso tempo, la Chiesa è chiamata a riequilibrare le forti spinte all’atomizzazione, individualismo e autoreferenzialità che spesso si risolvono nella sistematica riduzione dell’altro a elemento puramente ornamentale di un orizzonte ottico che riflette solo se stessi. «Gli altri siamo noi», come canta Umberto Tozzi. Che tradotto significa: gli altri non esistono più in quanto altri, ma solo in quanto nostre proiezioni. È il compimento della profezia della copertina del dicembre 2006 con cui il «Time» aveva eletto a personaggio dell’anno you, l’utente che specchiandosi sullo schermo del computer, sarebbe riuscito tramite il web a creare nuove forme di relazione e socialità. A distanza di anni, mentre viviamo un periodo in cui gran parte delle nostre relazioni sono costrette a passare per una qualche forma di mediazione digitale, è evidente il paradosso di quella copertina: ogni lettore, davanti a quello specchio– schermo del pc, non vedeva gli altri con cui stringere una relazione, ma solo la propria immagine riflessa. Nell’era delle grandi comunicazioni, l’individuo si ritrova paradossalmente solo, a guardare la propria immagine costruita digitalmente. Un’immagine che, come direbbe Benigni: «Non me somiglia per niente».

Donne e uomini profondamente soli e sconosciuti gli uni agli altri sono i protagonisti di The Undoing - Le verità non dette, serie di tv prodotta da Hbo e in onda in Italia su Sky Atlantic. La serie segue la vita apparentemente perfetta di una coppia della upper class newyorkese formata dalla psicologa Grace Fraser, interpretata da Nicole Kidman e dall’oncologo pediatrico Jonathan Fraser (Hugh Grant alle prese con un personaggio distante dai ruoli che lo hanno reso celebre).

Hanno un figlio adolescente, iscritto in una piccola ma esclusiva scuola privata. Una vita patinata, glamour, in cui il successo economico e lavorativo si accompagna alla stima e alla considerazione sociale: Grace appare sempre così comprensiva, accogliente, buona. Jonathan, invece, è ironico, empatico, arguto, nonostante il lavoro lo metta costantemente a contatto con la morte e la sofferenza dei bambini. Sin da subito, però, si intravvedono delle crepe in questa narrazione oleografica: la comparsa della esuberante e disinibita Elena Alves, interpretata dalla giovane Matilda De Angelis, turba profondamente la protagonista. Grace non perde occasione di criticare in privato, con le amiche o con il marito, gli atteggiamenti di Elena che, invece, pubblicamente accoglie e giustifica. Questa ipocrisia che saremmo tentati di derubricare a diffidenza per la distanza sociale o a invidia per la bellezza esuberante della giovane (nulla è lasciato all’immaginazione), rimanda a qualcosa di più complesso e instilla il dubbio che l’algida perfezione di Grace sia più esibita che reale, che risponda più a criteri di accettabilità sociale che alla verità della persona. La situazione precipita ulteriormente nel momento in cui Elena viene trovata morta e Jonathan, il marito, viene accusato dell’omicidio.

Undoing, secondo gli stilemi del thriller psicologico, cerca di indirizzare l’attenzione dello spettatore su nuovi dettagli, nuovi indizi, nuovi sospettati che mettano in discussione, ogni volta, quello che precedentemente credeva di aver capito. Dal punto di vista narrativo, nonostante i numerosi colpi di scena, il meccanismo non è del tutto riuscito. Forse perché, mentre si srotolano indizi e sospetti, la serie cerca di concentrarsi anche, se non soprattutto, su quelle verità nascoste evocate sin dal titolo e che lentamente vengono alla luce: in primo luogo, quelle di relazioni, vite sociali e familiari fondate esclusivamente su una narrazione autoreferenziale di sé, in cui l’altro è sistematicamente ridotto a proiezione delle proprie aspettative, oggetto di conforto, di rinforzo della propria stima, di specchio chiamato esclusivamente a restituire la bella immagine sociale che ci si è affannati a costruire.

C’è un intero mondo che, pur vivendo relazioni familiari, amicizie, passioni in realtà è composto da donne e uomini soli, intenti nello sforzo titanico di costruirsi un’immagine pubblica impeccabile e irrimediabilmente non vera. Questo sforzo è raccontato molto bene dai dettagli di Undoing, dal guardaroba di Grace, alle raccolte fondi a cui partecipa la coppia. Emerge anche dall’unica inserzione che la serie tv propone nel mondo lavorativo della psicologa: Grace è alle prese con una coppia in crisi che ha bisogno di ripensare la propria relazione imparando a riconoscere il partner nella sua alterità e non come proiezione delle proprie idee o desideri. Un ottimo consiglio, al quale andrebbe aggiunto quello evangelico: medico, cura te stesso!

L’avvitamento autoreferenziale dell’uomo, però, non è un tema esclusivo della modernità. Lo ritroviamo perfino nella primissima pagina della Bibbia. Nella Genesi, infatti, la fragilità intrinseca dell’uomo, a misura del materiale con cui è formato, quella terra impressa anche nel suo nome, è acuita dalla solitudine a cui è relegato, nonostante la protezione e la ricchezza del giardino in cui vive. Per questo, Dio gli vuole dare un «aiuto che gli sia simile» o, meglio, «che gli sia di fronte» (‘ezer kenegdô), formula enigmatica che può essere compresa seguendo la diffusione lessicale del sostantivo ‘ezer («aiuto») che ritorna nella Bibbia in contesti in cui la vita è in pericolo.

La mancanza di relazione condanna l’uomo alla solitudine e, in definitiva, alla morte. La creazione della donna, al contrario, può inaugurare un nuovo spazio relazionale che permette la vita, impressa nel nome di Eva, «madre dei viventi», nella misura in cui l’uomo riconosce l’alterità che gli è di fronte. Non si tratta di un progetto concluso, ma di una sfida sempre aperta. Già nella risposta dell’uomo «carne dalla mia carne, ossa dalle mie ossa, sarà chiamata donna (’iššâ) perché dall’uomo (’iš) è stata tratta», possiamo avvertire una distanza dal progetto creatore di Dio e l’eco della tentazione di riconoscere l’altro a partire esclusivamente da sé. È una tentazione profondamente innestata all’interno della tradizione occidentale, a partire dal «conosci te stesso» socratico. Undoing si pone esattamente questa strada, mettendo in scena i pericoli di una comprensione autoreferenziale di sé che non solo non incontra l’altro, ma lo riduce a propria proiezione.

di Gian Paolo Bortone