Quattro pagine - Approfondimenti di cultura, società, scienze e arte
Martha Nussbaum e la comprensione della nostra incarnazione

Fragilità della bontà umana

Alberto Giacometti «Les femmes de Venise» (1956)
02 febbraio 2021

Dal 4 al 5 febbraio il «IV Convegno internazio- nale Chiesa e musica: testi e contesti», orga- nizzato a Roma dal Pontificio Consiglio della cultura, offrirà una serie di riflessioni su erme- neutica, traduzione, linguaggi, forma. L’incon- tro — che a causa della pandemia è stato pen- sato per la partecipazione online — è l’ultimo di un ciclo pianificato da una apposita com- missione di esperti al fine di approfondire i di- versi aspetti del rapporto tra musica e Chiesa. Negli scorsi anni è stato dato spazio alla figura degli interpreti (2019), dei compositori (2018) e ai 50 anni dalla Musicam Sacram (2017). I lavori, come in ogni edizione, saranno aperti da un intervento del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultu- ra, che terrà una relazione intitolata «Il rove- scio di un arazzo». A chiudere i lavori sarà la filosofa statunitense Martha Nussbaum. 

Filosofa e accademica statunitense Martha Nussbaum è qui, virtualmente, per una conferenza Vaticana, dove interverrà sul tema «Music and Understanding our Embodiment» (“La musica e la comprensione della nostra incarnazione”). Le chiediamo di spiegarci brevemente il suo pensiero su come la musica interagisca con il ragionamento umano e la coscienza comunitaria, specialmente in questo tempo in cui molti vivono la solitudine dell’isolamento e del distanziamento sociale, mitigato dalle comunicazioni online.

«Come ha affermato il filosofo Arthur Schopenhauer — risponde Nussbaum — la musica occupa un posto unico tra le arti per via del suo stretto collegamento con i movimenti del corpo. Le sue caratteristiche dinamiche, ritmiche e percussive la rendono, secondo lui, una rappresentazione appropriata delle aspirazioni corporee. Concordo. Per questo può unirci nel comune riconoscimento della nostra vulnerabilità fisica e può servire a ricordare tale vulnerabilità ai responsabili politici, che spesso sono lontani dalla gente vera, che poi paga il prezzo fisico delle loro scelte. Per sostenere la mia idea, mi concentrerò sulla guerra e sul Requiem di Guerra di Benjamin Britten (1962), composto per unire il popolo dell’Europa contro guerre future, nella scia della seconda guerra mondiale. In questo tempo di separazione forzata, è molto difficile fare musica insieme ad altri. Il coro di cui faccio parte nella mia sinagoga non si riunisce da un anno, e anche i tentativi di collegarci via Zoom sono troppo complicati per essere emotivamente appaganti. A ogni modo, le principali associazioni musicali hanno messo a disposizione gratuitamente in rete tanta bella musica, e io faccio regolarmente parte del pubblico di tali eventi oltre ad ascoltare sempre musica della mia raccolta personale. Non è la stessa cosa che assistere di persona a una sinfonia o a un’opera, ma ci ricorda che queste arti sono ancora vitali».

Sempre restando all’attualità, in questo tempo difficile tra morti di covid in solitudine e cadaveri di migranti abbandonati tra mare e deserto, abbiamo un problema serio con l’elaborazione del lutto, rito per solito collettivo.

Sono pienamente d’accordo. La funzione in memoria di mia figlia, morta a dicembre 2019, è stata rimandata due volte. Stiamo ancora sperando di poterla tenere a maggio del 2021. I funerali del figlio di mia sorella sono stati celebrati via Zoom, e l’ho comunque trovato molto commovente. Ma come dice lei, manca la partecipazione collettiva al lutto, se non da lontano.

«L’intelligenza delle emozioni» è il titolo di un suo celebre libro: oggi sembra dominare la rabbia. La rabbia distrugge o può anche essere intelligente?

Nella versione originale questo è il sottotitolo mentre il titolo è Upheavals of Thought (“Sconvolgimento del pensiero”); in questo saggio sostengo che tutte le emozioni (comprese quelle degli animali, come ora riconoscono gli scienziati) hanno un contenuto cognitivo di qualche sorta: implicano l’elaborazione di informazioni sui nostri obiettivi e progetti più importanti. Quindi, in un certo senso sono intelligenti. Ma in senso concreto possono essere terribilmente fuorviati, proprio come gli altri pensieri: possono fondarsi su cattive informazioni e su un senso distorto del valore. Se piango una morte sulla base di informazioni errate e la persona in realtà non è deceduta, si tratta di un’emozione con un contenuto cognitivo falso. In quanto alla rabbia, le definizioni filosofiche classiche della rabbia includono diversi elementi: (a) l’idea che la persona o qualcuno o qualcosa che le è caro ha subito un danno; (b) il pensiero che il danno non è stato accidentale, ma ingiusto; e (c) l’idea che è più che giusto che chi ha fatto il male debba “ripagarlo” o essere punito. Nei miei libri Rabbia e perdono e La monarchia della paura sostengo che gli elementi (a) e (b) possono essere sbagliati in modi specifici, come quando ci si forma una falsa opinione su se c’è stato un danno, quanto è stato importante o se è stato ingiusto. Ma l’elemento (c) è sempre fuorviato, poiché contiene la deludente illusione che il pagare bilancia la perdita, che, per esempio, la pena capitale fa in qualche modo ammenda per la vita tolta dal criminale. Questa idea è molto diffusa, tuttavia è falsa. Non possiamo cambiare il passato, ma solo il futuro. Quindi l’unico tipo di rabbia che ritengo appropriato è quello che definisco rabbia di transizione, poiché è volta a guardare al futuro, rinunciando all’elemento (c). Il suo intero contenuto è: «Quanto è vergognoso, questo! Non deve accadere mai più». Martin Luther King Jr. la definiva rabbia «purificata» e diceva che i membri del suo movimento dovevano purificare la loro rabbia e volgersi verso il futuro con indignazione ed esigendo giustizia, ma anche con fede e speranza. Io sono d’accordo.

Nel 1986 usciva il suo «La fragilità del bene»: 35 anni dopo il bene è diventato ancora più fragile? O, nonostante tutto sembri indicare il contrario, si è rafforzato?

Per «bene» in realtà intendevo parlare della «fragilità della bontà umana» e la riflessione riguardava il divario tra l’essere una brava persona e il riuscire ad avere una vita fiorente. In uno dei capitoli ho riflettuto sul danno al carattere morale, ma in gran parte del libro ho semplicemente sostenuto che si può essere buoni e comunque non riuscire a condurre una vita prospera a causa di ostacoli non creati da sé. Questo vale sempre, e se il fatto che dal 1945 non c’è più stata una guerra mondiale ha infuso in noi un senso di sicurezza, l’attuale pandemia ci ricorda che eventi che esulano dal nostro controllo possono sempre colpire alla radice i nostri tentativi di vivere una vita felice.

La giustizia salverà l’umanità del xxi secolo o, così come è concepita e applicata, sarà la sua pietra tombale?

Vorrei essere brava a fare previsioni, ma i filosofi non sono bravi a predire il futuro. Possiamo descrivere e appoggiare buone norme e dare un’idea di quello che bisognerebbe fare per realizzarle — come faccio con il mio approccio alle capacità — ma sono altri a dover svolgere il lavoro per rendere le norme concrete. Posso influenzare il futuro solo scrivendo e insegnando.

Lei — donna filosofa — ha scritto pagine avvincenti su amicizia e vecchiaia: ma l’amicizia e la vecchiaia sono le stesse per le donne e gli uomini?

Ritengo che la differenza principale sia che le donne in media vivono più a lungo rispetto agli uomini, quindi, se sono eterosessuali, hanno più probabilità di perdere il coniuge rispetto agli uomini e di continuare a vivere, spesso un po’ in solitudine. Ma l’isolamento è un problema terribile per tutte le persone che invecchiano. Ne parliamo nel nostro libro (il libro è stato scritto insieme da me e da Saul Levmore, economista e avvocato uomo). Offriamo alcune raccomandazioni, specialmente quella di migliorare i trasporti pubblici e incoraggiare l’introduzione di automobili senza conducente, poiché negli Stati Uniti la mancanza di mobilità è una delle principali ragioni per cui le persone che non vivono nelle grandi città sono tagliate fuori dalla comunità e da molte attività. Negli Stati Uniti, quando non riesci più a guidare una macchina sei davvero bloccato. Penso che in Europa vada molto meglio sotto questo punto di vista. Un’altra cosa che raccomandiamo è di porre fine al pensionamento obbligatorio. In questo gli Stati Uniti stanno facendo meglio dell’Europa. Ho 73 anni e insegno a tempo pieno; e ho intenzione di continuare fintato che mi divertirò e riuscirò a fare un buon lavoro. La maggior parte dei miei amici in Europa sono stati costretti ad andare in pensione a 65 anni e soffrono per l’isolamento, la mancanza di attività e la perdita del loro status. È assurdo avere il pensionamento obbligatorio al giorno d’oggi, quando lo stato di salute dei sessantenni, settantenni e ottantenni non è mai stato migliore. Tutte le nazioni devono avvalersi delle capacità delle persone anziane, uomini e donne.

di Andrea Monda