Se la scienza perde autorità e credito agli occhi dei giovani

La scelta di Matilde

Jacopo de’ Barbari, «Ritratto di Luca Pacioli» (1495)
01 febbraio 2021

Insegnare religione nelle scuole, di ogni ordine e grado, in Italia, assomiglia sempre di più a uno sport estremo. Mi è stato riferito di un’insegnante delle medie che, pochi giorni fa, parlando in classe di pandemia, vaccini e di speranza, sottolineava l’importanza della scienza, della conoscenza, dello studio e della scuola. Alza la mano Matilde, 11 anni, e risponde che la conoscenza non ha aiutato l’uomo, anzi lo ha distrutto. Ha distrutto il gioco, il divertimento e poi ha distrutto la natura, perché senza la scienza si viveva molto più a contatto con la natura.

L’insegnante è rimasta spiazzata e anch’io devo ammettere che questa risposta di Matilde mi coglie di sorpresa. Nei quasi vent’anni della mia esperienza di insegnante di religione la situazione che si creava era in genere quella opposta per cui mi scontravo con l’atteggiamento di “idolatria” della scienza, di venerazione, non di demolizione. La critica di Matilde è severissima, radicale: scienza e conoscenza non aiutano ma rovinano l’uomo. La prova è quello che l’uomo ha fatto alla natura. Una delle critiche che i miei studenti di liceo muovevano a me docente di religione era la debolezza del pensiero religioso (ridotto a superstizione) rispetto alla potenza del pensiero scientifico, l’unico dotato del crisma della verità. La verità era assimilata alla certezza e la certezza era solo quella scientifica, perché la scienza è l’unica dimensione che offre soluzioni sperimentabili, calcolabili, misurabili, riproducibili, appunto “veri-ficabili”. Strana riduzione del concetto di verità, ribattevo io, che tagliava fuori una grande fetta del tesoro dell’esperienza umana (e in questa “fetta” ci metterei ad esempio anche quella dimensione ludica tanto cara a Matilde). Facevo fatica all’epoca a farmi ascoltare, il “dogma scientifico” era così considerato che non ci potevano essere tentennamenti, a rischio di passare per “eretico”: la verità non esiste, esistono solo le verità provate dalla scienza, unica voce dotata di autorità.

Ma ora invece questo problema è del tutto superato, perché lo scenario si è ribaltato: la scienza è caduta dal trono, essa ha fallito, non porta alla verità ma alla rovina, non eleva l’uomo ma lo distrugge togliendogli le dimensioni più autentiche, come il gioco e il divertimento e soprattutto il contatto con la natura. Mi chiedo se queste considerazioni la piccola Matilde le ha maturate negli ultimi mesi, in cui la credibilità della scienza (o di una visione “dogmatica” della scienza considerata appunto come “infallibile”) ha conosciuto profonde crisi a causa dello scoppio della pandemia causata dal covid-19, un virus che ha mostrato tutti i limiti del sapere scientifico. Ma può anche darsi che questa “delusione” sulla forza salvifica della scienza si sia innestata su una visione già elaborata in precedenza, quella della scienza come elemento di distruzione di un sano rapporto tra l’uomo e la natura. In questa visione il vero “virus” del pianeta è l’animale uomo. Ora qui non si tratta soltanto di smontare le fragili tesi della giovanissima Matilde, ma, prima di farlo, di prenderle nella dovuta considerazione perché fanno emergere spunti molto interessanti. Ad esempio rivelano la grande sensibilità ambientale ormai molto diffusa tra i giovani al punto da farne un punto fondamentale di discernimento e orientamento. Questo fa ben sperare. Ma rivelano anche il crollo che la scienza ha subito agli occhi dei giovani, soprattutto dovuto al corto-circuito tra scienza e potere, nel senso che la scienza è vista come strumento ed espressione del potere dell'uomo (e dei suoi interessi) sul mondo che invece finisce per apparire come una preda da “spolpare”. La scienza in questa visione sarebbe solo portatrice di effetti devastanti rispetto al mondo circostante, in primis la proliferazione di cemento, plastica e di prodotti inquinanti che ci hanno distaccato da quel sano cordone ombelicale che era presente nelle nostre origini, idealizzate, come puri esseri naturali. L’uomo “a una dimensione”, quella “basica”, naturale.

Se il ridimensionamento del culto idolatrico della scienza può essere visto favorevolmente, desta qualche preoccupazione il discredito che le parole di Matilde gettano sull’uomo come essere spirituale, chiamato a vivere cercando di soddisfare l’inestinguibile sete di conoscenza che lo inabita. Sembra proprio che Matilde preferisca vivere la condizione dei “bruti” anziché “seguir virtute e canoscenza”. Qui rispunta la lezione dei classici che non dovrebbero, come spesso invece si dice, essere “attualizzati”, perché attuali lo sono sempre; siamo noi che dobbiamo chiederci se siamo all’altezza delle loro domande, quelle domande che risuonano, inconsapevolmente, anche nelle affermazioni fragili quanto perentorie della giovane Matilde.

di Andrea Monda