Nel libro «Quei ponti sulla Drina» raccolti gli interventi e gli articoli di Alexander Langer

Idee per un’Europa di pace
e di riconciliazione

Visegrad, Bosnia, Austro-Hungary
01 febbraio 2021

Prima sul campo, poi sulla carta. Quello di Alexander Langer, insegnante, giornalista, traduttore, è stato anzitutto un impegno all’insegna di un’azione fattuale, coraggiosa, diretta a promuovere dialogo e riconciliazione. Tra i promotori del movimento politico dei Verdi, parlamentare europeo dal 1989, si è prodigato per una politica estera di pace che coinvolgesse in un progetto condiviso Nord e Sud, Est ed Ovest. Tale strategia pragmatica ha quindi trovato brillante ed eloquente espressione in interventi e in articoli (dal 1989 al 1995) raccolti nel libro Quei ponti sulla Drina. Idee per un’Europa di pace (Formigine, Infinito Edizioni, 2020, pagine 172, euro 13) con la prefazione di Paolo Bergamaschi, l’introduzione di Sabina Langer e la postfazione di Adriano Sofri. Il volume è a cura di Sabina Langer, nipote di Alexander, e di Edi Rabini. «L’idea di creare in Italia uno spazio che rimettesse in comunicazione gli spezzoni di società civile della ormai ex-Jugoslavia, dove infuriava la guerra — ricorda lo scrittore Paolo Bergamaschi, già consigliere politico presso la commissione Esteri del Parlamento europeo — prese forma nel corso di una riunione svoltasi il 27 gennaio 1992 presso la Casa per la Nonviolenza a Verona». In varie parti d’Europa erano infatti sorti gruppi spontanei di solidarietà alle popolazioni di un conflitto che stava provocando «una catastrofe umanitaria di proporzioni immane». In Italia, in particolare nel Triveneto, si registrava una mobilitazione che chiedeva sia il sostegno materiale alle vittime, sia un’incisiva azione politica che ponesse fine alle ostilità. Dal 17 al 20 settembre 1992, sempre a Verona, venne convocata una Conferenza di pace dei cittadini dell’ex-Jugoslavia: fu di fatto la prima sessione di quello che da allora si chiamerà «Verona Forum per la pace e la riconciliazione nei territori dell’ex Jugoslavia», presieduto, tra gli altri, da Alexander Langer. Da allora il Verona Forum ha costituito un punto di incontro di democratici di diversa provenienza (liberali, socialdemocratici, nazionalisti moderati, ecologisti), di giornalisti liberi e di esponenti di associazioni che cercavano di costruire e rafforzare una voce comune che faticava a trovare ascolto presso le istituzioni europee.

In questo scenario spiccò l’opera certosina e metodica tessuta da Langer, impegnato a coltivare rapporti con un nutrito gruppo di eurodeputati di ogni provenienza politica e geografica che chiedeva alla comunità internazionale, scrive Bergamaschi, «di liberarsi finalmente di quella maschera ipocrita di presunta neutralità che impediva di distinguere tra aggressori ed aggrediti, carnefici e vittime, e che insisteva per un ruolo più attivo ed efficace dell’Unione europea e delle Nazioni Unite a protezione dei civili».

Langer, rammenta Bergamaschi, rimase «molto deluso» dal vertice dei capi di Stato e di governo di Cannes, alla fine di giugno del 1995. Le proposte contenute nell’appello «L’Europa muore o rinasce a Sarajevo» caddero infatti nel vuoto. Continuava l’assedio della capitale bosniaca, «proseguiva la mattanza». Pochi giorni dopo si sarebbe consumato il genocidio d Srebrenica, «macchia indelebile dell’Europa contemporanea». Sabina ricorda lo zio come «un maestro di non violenza», animato dalla convinzione che le minoranze andassero tutelate in quanto «detentrici di sapere e stili di vita diversi». «Leggere oggi i suoi testi — afferma — è senz’altro fonte di ispirazione perché mostrano una politica fondata sul rispetto delle decisioni democratiche, sul coinvolgimento della società civile e sui diritti della persona». Secondo Alexander, le istituzioni avevano il compito di sostenere e di dare continuità alle «iniziative dal basso» per costruire realmente un’Europa di cittadine e di cittadini. Per questa ragione riteneva che tali istituzioni dovessero agevolare «il pensiero libero» e «l’informazione indipendente» come base del dialogo e della solidarietà, e per far conoscere quelle esperienze positive che esistevano anche all’interno di crisi e conflitti. In una rubrica (tenuta dal 1984 al 1995) su un mensile tedesco e intitolata «Lettere dall’Italia» Langer scriveva: «La spaventosa guerra jugoslava si rivela sempre più come la sfida decisiva per la coscienza europea e il banco di prova della nuova Europa. La sua portata storica un giorno sarà forse considerata maggiore di quella della guerra civile spagnola negli anni Trenta. Come dovrebbero essere le forze sociali all’interno e all’esterno di una zona di conflitto, per contribuire a prevenirlo o a risolverlo? Quale sostegno esterno a queste forze è possibile e necessario?». Non è positiva la risposta a questi interrogativi. Langer infatti rileva con amarezza che l’Europa ha abbandonato a sé stesse queste forze e questo è «un fatto che pesa».

«Gruppi, partiti, giornali meno inficiati dal nazionalismo — scrive — avrebbero avuto bisogno di sostegno politico e materiale per guadagnare prestigio nelle loro società di appartenenza. L’“altra” Serbia (che si è sempre riaffacciata con iniziative e manifestazioni), l’“altra” Croazia (che a dispetto della “omogeneizzazione nazionale” non è stata ridotta al silenzio) sono state lasciate completamente sole».

Su proposta di Langer, il Parlamento europeo approvò il 21 aprile 1994 una risoluzione sulla creazione di una Corte penale internazionale, della quale il libro ripropone parte delle motivazioni. La risoluzione si inquadrava nell’ottica di una crescente «fame e sete di giustizia» mondiale in virtù delle quali si fanno pressanti le richieste perché l’ordinamento internazionale si attrezzi per curare le ferite inferte alla convivenza tra le persone. Langer menzionava i crimini come il genocidio, forme violente ed estese di «epurazione etnica», la sistematica violazione dei diritti umani, l’uso sistematico della tortura. A fronte di questo inquietante scenario, Langer rilevava che «non si può non riconoscere l’eccezionale passo avanti che è stato compiuto con l’istituzione del Tribunale internazionale incaricato di perseguire le violazioni del diritto umanitario nell’ex-Jugoslavia». Si tratta di «una risposta straordinaria» decisa (dopo pressioni anche da parte di cittadini in tutto il mondo) dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. «Essa — scrive Langer — è destinata a “fare giurisprudenza” e si potrebbe dire a “fare storia”, anche al di là del drammatico contesto dal quale, e per giudicare il quale, è stata deliberata. Vorrà dire che d’ora in poi l’istituzione del Tribunale dovrà essere considerata tra i prolegomeni di ogni tribunale internazionale che si vorrà creare in materia di crimini di guerra e, forse, di ogni tribunale penale internazionale tout court».

di Gabriele Nicolò