Il dono della fedeltà e la gioia
della perseveranza

 Il dono  della fedeltà  e la gioia  della perseveranza  QUO-024
30 gennaio 2021

«Il dono della fedeltà e la gioia della perseveranza. Manete in dilectione mea (Gv 15, 9)»: questo è il titolo del ultimo documento della civcsva pubblicato dalla Libreria editrice vaticana e presentato online il 10 dicembre scorso. Il testo è frutto della plenaria del Dicastero per la vita consacrata celebrata a Roma nel 2017.

Il documento ha tre capitoli: il primo capitolo porta come titolo Lo sguardo e l’ascolto, il secondo Ravvivare la conoscenza di sé stessi, e il terzo La separazione dell’istituto. Il sottotitolo è preso dal Vangelo di Giovanni: Manete in dilectione mea (15, 9).

Rimanete nel mio amore (Gv 15, 9): è la richiesta che Gesù fa ai suoi discepoli durante l’ultima Cena. Rimanete: «Qui sta la forza della vocazione del consacrato». Questo imperativo è anche una consegna, l’offerta della «verità fondamentale» che permette di «restare in comunione vitale con Cristo». (Francesco, La forza della vocazione. Conversazione con Fernando Prado, 44). Consegna affidata ai discepoli di ieri e di oggi, in particolare agli uomini e alle donne consacrate che affrontano la sfida di vivere in ambienti fortemente secolarizzati, correndo il rischio di perdere il fervore e la gioia della propria donazione a Cristo e alla Chiesa. Fervore e gioia che non vengono meno, oggi come ieri, in «tanti consacrati e ministri di Dio, [che] nella silenziosa dedizione di sé, perseverano incuranti del fatto che il bene spesso non fa rumore [...]. Essi continuano a credere e a predicare con coraggio il Vangelo della grazia e della misericordia a uomini assetati di ragioni per vivere, per sperare e per amare. Non si spaventano davanti alle ferite della carne di Cristo, sempre inferte dal peccato e non di rado dai figli della Chiesa» (Francesco, Discorso ai vescovi di recente nomina partecipanti al corso promosso dalla Congregazione per i vescovi, 13 settembre 2018).

Fedeltà e perseveranza sono state al centro dell’intervento di Papa Francesco nell’udienza del 28 gennaio 2017 alla plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica: «In questo momento la fedeltà è messa alla prova [...]. Siamo di fronte ad una “emorragia” che indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della Chiesa. Gli abbandoni nella vita consacrata ci preoccupano. È vero che alcuni lasciano per un atto di coerenza, perché riconoscono, dopo un discernimento serio, di non avere mai avuto la vocazione; però altri con il passare del tempo vengono meno alla fedeltà, molte volte solo pochi anni dopo la professione perpetua. Che cosa è accaduto?». «Gli abbandoni nella vita consacrata ci preoccupano», afferma Papa Francesco. Preoccupazione avvertita in tutti gli ambienti della vita consacrata. La riflessione in tema di separazioni-abbandoni dell’istituto, avviata da tempo all’interno della Congregazione, è approdata all’elaborazione di Orientamenti dal titolo: Il dono della fedeltà, la gioia della perseveranza. Riflessioni ed orientamenti destinati a tutti i consacrati e consacrate (sorelle, fratelli, superiori, formatori), nella convinzione che la fedeltà nella perseveranza «è inscritta nell’identità profonda dei consacrati» (n. 1).

Lo sguardo e l’ascolto


Chi s’aspettasse un’articolata analisi sulle cause che provocano gli “abbandoni”, probabilmente rimarrà deluso. Preso atto della complessità del fenomeno che investe tutte le aree continentali di presenza dei consacrati, i rispettivi contesti non possono dirsi ininfluenti, anzi si osserva che la dimensione socio-culturale è maggiormente evidente. Pertanto avviare percorsi di indagine in questa direzione — già in parte affrontati nella letteratura specialistica — avrebbe prodotto esiti di non facile convergenza; così pure i quadri statistici, pur rilevanti per la lettura del fenomeno, non possono dirsi esaustivi della “cifra del fenomeno”. Si è preso atto di situazioni personali, comunitarie e istituzionali che rilevano nodi critici e, allo stesso tempo, dinamiche da convertire. La vita consacrata nel mondo non è un insieme di istituzioni, ma un corpo vivo, mutevole, talvolta non prevedibile nei suoi cambiamenti. Nei processi di cambiamento in atto le mentalità e le sensibilità culturali e generazionali sono variabili tutt’altro che trascurabili soprattutto quando confluiscono nelle problematiche degli abbandoni. La prima parte, dunque, del documento — lo sguardo e l’ascolto — si limita a richiamare alcune di queste situazioni problematiche all’interno del più ampio fenomeno degli abbandoni. Si tratta concretamente, nei rispettivi contesti, di valutare con attenzione e rigore i problemi che sono all’origine degli abbandoni e, conseguentemente, attivare percorsi di prevenzione nella formazione e di formazione al discernimento. E, allo stesso tempo, comporta non cedere al pessimismo che finisce per assumere un atteggiamento di rassegnata passività, o peggio per reagire in modo deresponsabilizzante, nella convinzione che non ci sia più nulla da fare.

Ravvivare la consapevolezza


Riproporre oggi la domanda sul senso della fedeltà e della perseveranza dei consacrati e consacrate, significa riprendere le fila — attraverso la ricchezza del magistero dal concilio Vaticano ii a oggi — sul tema dell’identità e vocazione alla vita consacrata nella Chiesa: filo conduttore anche del dibattito odierno sorto attorno ai problemi e alle difficoltà dei consacrati. Identità e vocazione che non sono “a scadenza”. La riflessione del magistero ha approfondito la relazione tra fedeltà e perseveranza assunta quale chiave d’interpretazione di un’autentica esperienza della vita consacrata: dall’ascolto della Parola di Dio, alla vita fraterna in comunità, al dono dei consigli evangelici, al senso di una missione di vita...; esperienza sintetizzata nell’espressione «perseveranza nella fedeltà» (Redemptionis donum, 17).

Il dono della fedeltà si manifesta nella gioia della perseveranza: la gioia traspare nel volto dei consacrati e consacrate. Il magistero di Papa Francesco è particolarmente attento alla gioia. Evangelii gaudium, Amoris lætitia, Gaudete et exsultate, gli incipit enunciano un’esigenza evangelica decisiva nella vita dei discepoli: l’urgenza della gioia, che è gioia del Vangelo, letizia dell’amore, esperienza gioiosa della comunione con il Signore Gesù. Rivolgendosi ai consacrati il Papa continuamente li invita a testimoniare gioia: «Questa è la bellezza della consacrazione»! La gioia per Papa Francesco non è inutile ornamento, ma è esigenza e fondamento della vita umana. Nell’affanno quotidiano, ogni uomo e ogni donna tende a giungere e a dimorare nella gioia con la totalità dell’essere, la gioia è motore della perseveranza. «La gioia nasce dalla gratuità di un incontro! [...] E la gioia dell’incontro con Lui e della sua chiamata porta a non chiudersi, ma ad aprirsi; porta al servizio nella Chiesa. San Tommaso diceva «bonum est diffusivum sui»: “Il bene si diffonde”. E anche la gioia si diffonde. Non abbiate paura di mostrare la gioia di aver risposto alla chiamata del Signore, alla sua scelta di amore e di testimoniare il suo Vangelo nel servizio alla Chiesa. E la gioia, quella vera, è contagiosa; contagia... fa andare avanti» (Francesco, Incontro con i seminaristi, i novizi e le novizie in occasione dell’Anno della fede, 6 luglio 2013).

La fedeltà nella perseveranza si forma nel discernimento. Oggi dovrebbe essere più matura la prospettiva di un processo di discernimento-accompagnamento che si prende cura del fratello e della sorella in difficoltà e — quando si tratta di scelte dolorose e difficili — li accompagna a cercare una strada diversa e nuovi significati che diano senso alla scelta di vita. Abbiamo a disposizione potenzialità e risorse fino a ieri rimaste latenti; si tratta di riscoprirle per rivolgerci alle periferie esistenziali, non solo verso l’esterno nell’evangelizzazione, ma anche all’interno dei nostri stessi ambienti. Rileggere il fenomeno degli abbandoni all’interno di un processo di discernimento che interpella gli istituti e le società vuol dire superare una mentalità riduttiva ovvero “risolvere i problemi” di persone che hanno vissuto e fatto vivere momenti di difficoltà e di tensione alle proprie comunità. Infatti, quando l’uscita di un confratello o di una consorella è percepita come una “liberazione”, qualcosa non ha funzionato lungo il percorso di discernimento. Non si dovrebbe arrivare alla fase del discernimento finale attraversando situazioni di esclusione o di un vero e proprio ostracismo dalla comunità o dall’istituto: questo, infatti, rischia di alimentare un senso di fallimento in chi esce e di ingenerare nuovo malessere in chi resta.

Le “regole”: risorse del discernimento


La terza parte del documento offre un quadro della normativa codiciale e della prassi del dicastero. Gli esiti dei processi di discernimento (quali ad esempio l’assenza dalla comunità, l’uscita, il passaggio, la dimissione dall’istituto...) vengono valutati e accompagnati nella valorizzazione e nel rispetto non formale del diritto universale e proprio. Il sussidio normativo è finalizzato all’esercizio di una responsabilità condivisa: da parte di chi accompagna i processi di discernimento e da parte di chi è consapevole delle proprie decisioni. In questa prospettiva il percorso normativo s’inscrive a pieno titolo in un corretto processo di discernimento. Il richiamo alla disciplina non è certo in funzione del rigore, ma del senso di responsabilità mediante il quale ogni consacrato e consacrata è posto di fronte alla coerenza delle proprie scelte, soprattutto quelle più difficili e sofferte. Inoltre la sintesi normativa della terza parte risponde ad una concreta esigenza. Nell’esperienza quotidiana della civcsva il riscontro di insufficiente informazione-documentazione per istruire le cosiddette “pratiche”, obbliga a ripercorre la valutazione dei “casi”, per tutelare i diritti dei soggetti coinvolti e verificare la correttezza delle procedure. In entrambi i casi le “regole” sono preziose risorse di discernimento per il bene di tutti.

La fatica nella fedeltà e il venire meno delle forze della perseveranza sono esperienze che appartengono alla storia della vita consacrata, già dai suoi albori. La fedeltà, nonostante l’eclissi di questa virtù nel nostro tempo, è inscritta nell’identità profonda della vocazione dei consacrati: è in gioco il senso della nostra scelta di vita davanti a Dio e alla Chiesa. La coerenza della fedeltà consente di appropriarsi e riappropriarsi della verità del proprio essere, cioè di rimanere (cfr. Gv 15, 9) nell’amore di Dio. Anche oggi è possibile la fedeltà perseverante: «Non avere paura [...]. Io sono con te per proteggerti» (Ge 1, 8).

di José Rodríguez Carballo
Arcivescovo segretario della civcsva