«Danteide» di Piero Trellini

Il divino poeta visto
attraverso i suoi occhi

Particolare dalla copertina
29 gennaio 2021

Le celebrazioni del settimo centenario della morte del sommo poeta, spentosi il 14 settembre 1321 a Ravenna, sono iniziate bene sul fronte editoriale. A riveder le stelle di Aldo Cazzullo, con 250.000 copie vendute, è stato il testo di saggistica più venduto nel 2020, seguito a un’incollatura dal Dante di Alessandro Barbero, uscito qualche mese dopo. Altre opere si affacciano adesso in libreria a soddisfare un interesse di pubblico del quale l’Italia deve andare orgogliosa.

A pagina 519 della sua Danteide, (Milano, 2021, pagine 576, euro 20) ulteriore omaggio all’anno dantesco appena pubblicato da Bompiani, Piero Trellini scrive «Ho evitato ovviamente un approccio che pendesse troppo verso l’opera, perché questo avrebbe solo ricalcato, in modo insensato, i lavori altrui. Ma ho escluso anche un proposito biografico in senso classico, perché sarebbe stato altrettanto inutile, non aggiungendo nulla rispetto ai lavori egregi prodotti in questi anni». Detto, o scritto, questo si potrebbe dire che è detto tutto. Per il recensore rimangono le briciole.

Nemmeno quelle, vien da pensare, se si scorre il testo per altre due pagine e si viene informati che «la composizione dei singoli capitoli è nata così dall’incrocio di fonti cronachistiche, filosofiche, geografiche, filologiche, giuridiche, semiologiche, linguistiche, cosmologiche, iconografiche, topografiche, metriche, politiche e scientifiche, combinando quindi saggi, analisi e studi di storiografia, demografia, biologia, climatologia, retorica, genealogia, iconografia, sviluppi urbani oltre che storia economica e agraria».

Trellini è infatti uno di quegli autori totali, travolgenti, capaci di affrontare un tema da tutte le angolazioni e sotto ogni punto di vista, sempre in grado, nello stesso tempo, di tenere fede a un impianto rigoroso. Le radici strutturaliste della Danteide sono evidenti fin dall’inizio dell’opera, dedicato alla concretezza fisica di quello che di Dante ci rimane, dei suoi resti sepolti a Ravenna ed esumati per due volte nell’Ottocento, a causa di una sorprendente scoperta relativa alla loro reale collocazione nella cappella funebre presso la basilica di San Francesco.

Quello che accade è descritto con minuzia di dettagli, senza negarsi i particolari relativi alla misurazione, attraverso il riempimento del teschio di riso per la valutazione volumetrica, delle probabili dimensioni del cervello del sommo poeta, e quelli concernenti il recupero di alcune ossa minori trafugate dai curiosi al momento dell’apertura del feretro.

Dalla ricognizione di uno scheletro ricomposto nella sua completezza la Danteide apre a un tourbillion di spostamenti nello spazio e nel tempo giustificato dall’affermazione che parlare di Dante direttamente non è possibile. Seguendo i dettami dello strutturalismo Trellini sostiene che la definizione di un soggetto è realizzabile solo descrivendone i collegamenti con altri soggetti, facendo emergere la rete di relazioni che lo collocano nella sua dimensione storica e lo rendono unico.

Per fare questo rispetto a Dante e alla Commedia è necessario spostarsi, indagare, ricercare, conoscere i fatti e i personaggi del suo tempo, ma anche quelli di tempi e luoghi lontani. Allora arrivano la nascita dell’agricoltura tra il Tigri e l’Eufrate o la leggenda indiana dell’invenzione degli scacchi, a l’esplosione del vulcano Tambora in Indonesia del 1815, con le sue conseguenze europee che vanno dalla sconfitta di Napoleone affondato con i suoi soldati nel fango di Waterloo all’invenzione letteraria di Frankenstein e del Vampiro, entrambi partoriti dalle menti di giovani inglesi bloccati dal maltempo durante una vacanza a Villa Diodati nei pressi di Ginevra.

Quello che sorprende è la capacità dell’autore di convincerci che per comprendere l’amore di Paolo e Francesca o la tragedia del Conte Ugolino le informazioni che ci fornisce risultano necessarie, come lo svelamento delle conoscenze di letteratura orientale possedute da Dante e utilizzate a piene mani nel dare forma alla Commedia.

Si scopre così che persino la scoperta dell’America, o per meglio dire la denominazione del continente americano, ha un preciso ascendente dantesco: Aimeric de Narbonne, uno dei vincitori della battaglia di Campaldino alla quale il poeta partecipò armi in pugno, divenne così popolare nella guelfa Firenze che il suo nome, italianizzato in Amerigo, divenne comune fra i bambini e passando di generazione in generazione arrivò a quel Vespucci che attraverso un transito dalla cartografia dette nome alle terre di recente scoperta.

Nel racconto della battaglia di Campaldino, momento decisivo nell’evoluzione del conflitto tra guelfi e ghibellini che insanguinava l’Italia, Trellini si concede un momento di vicinanza particolare alla figura che fa da perno all’intero libro, anche se di solito mantenendosi in ombra. Nel giorno dell’esperienza della guerra, da quel che ne sappiamo l’unico da lui vissuto, Dante ci viene presentato nella ricchezza delle emozioni che i combattenti nell’epoca che precede l’avvento delle armi da fuoco provano prima dello scontro vero e proprio, quando il nemico avanza al galoppo, allo scoperto, loro incontro.

A proposito della battaglia, Trellini accenna alla possibilità, molto remota ma autorevolmente avanzata, che sia stato proprio il poeta a infliggere la ferita mortale al comandante ghibellino Bonconte da Montefeltro e che per questo gli abbia concesso un’immortalità positiva collocandolo nel purgatorio.

Una conquista sorprendete e spettacolare, ottenuta con un affidamento alla Madonna fatto quando la vita già lo abbandonava e un diavolo era al suo fianco, pronto a trascinarlo all’inferno.

A chiarire le complesse vicende narrate e soprattutto i raccordi che le collegano la Danteide dispone di un corredo di schemi nei quali un apparato di frecce collega nomi, date e luoghi con un risultato in verità spesso più evocativo che descrittivo, di suggestione, comunicando al lettore la sensazione quasi fisica della densità degli intrecci che accompagnano le vicende delle donne e degli uomini, fino a racchiuderle in grovigli difficili da sciogliere.

A spiegare che il confine tra serio e grottesco, tra commedia e tragedia, tra logica e intuizione è sempre incerto Trellini inserisce nei grafici orditi di curve che a volte si combinano in immagini, come il cuore che campeggia in testa allo schema che illustra l’evoluzione del dolce stil nuovo e il viaggio poetico che compie dalla Provenza alla corte di Federico ii , per approdare infine in Toscana e far dire a Francesca «Amor, ch’a nullo amato amar perdona».

Uno spirito lieve accompagna la lettura anche nei passaggi in apparenza più aridi, tra i quali spicca la puntigliosa analisi del materiale umano e linguistico impiegato da Dante nella Commedia, con l’indicazione dei trecentosessantaquattro personaggi, ripartiti scrupolosamente per area di provenienza, descritti da 101.698 parole, prevalentemente di quattro o cinque lettere, delle quali ce ne sono 26.226, ed è proprio la loro diffusa brevità a imprimere un tono scattante alla narrazione, mentre le rime incatenate costringono chi si avventura nel testo a proseguire nella lettura.

Non ultima meraviglia, l’attenzione dimostrata da Trellini nell’inseguire la musicalità dei nomi in un’epoca nella quale i Paoli, le Francesche, i Guido e le Beatrici erano pochi a fronte di una folla di meno scontati Magalozzo, Ranieri, Vinciguerra, Gualdrada, Forese, Piccarda, Bellincione, Pipino di Griccio, Belcortese, Gherardo Cagapisto, Guiscardo, Rossellino, Tebaldello, Venedico Caccianemici, Guinizzello da Magnano, Garatone, Ramberto, Rengarda, Orabile e Zambrasina. Il medioevo era ben maturo, ma aveva ancora un secolo di vita davanti a sé.

di Sergio Valzania